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Contaminazioni Creative

  • Giubbe Rosse, 4 luglio 2002 ore 21.45
    Piazza della Repubblica, 13/14r Firenze
  • Elliot Braun Bar, 10 luglio 2002 ore 22.30
    Via Ponte alle Mosse 117/r Firenze


  • Performers: Agostino Aresu (attore), Beatrice Bianchi (violinista), Tommaso Bianchi (sassofonista),
    Marco Borsotti (attore), Johara Breda (attrice), Simonetta Della Scala (direttrice rivista e performer), Giacomo Morandi (chitarrista).


  • Testi di: Simonetta Della Scala, Stefano Gecchele, Riccardo Ielmini.

  • Costume scenico e coordinamento evento: Mania Brundu



Marco Borsotti (attore) e Simonetta Della Scala (direttrice rivista e performer).

Simonetta Della Scala (direttrice rivista e performer).
 

Johara Breda (attrice) indossa il costume ideato e realizzato da Mania Brundu.

Foto di gruppo da sinistra: Tommaso Bianchi (sassofonista), Johara Breda (attrice), Marco Borsotti (attore), Mania Brundu (redattrice, costumista e coordinatrice evento), Giacomo Morandi (chitarrista), Beatrice Bianchi (violinista).

 

Testi (selezionati da Simonetta Della Scala)

POESIE E TESTI NARRATIVI DI SIMONETTA DELLA SCALA:
Da parte di Porpore vi auguriamo da ora in poi, che questa notte, comunque voi vogliate, vi appartenga.


Porpore
Essere al porto,
dai tufi bianchi,
il padrone accusato,
sesso fra i dazi,
come unica porta.
Se recipere,
ex alto invehi,
penetrare.
Uno solo può tutto,
dal retroscena
imperla
al suo nescio quid.


Passione
Copia il corpo
tra quelle mani.
curvato sull'inutilitas
sulla sera d'impossibile
condivisione.
Le note in nervi del
guado scoppiettante
festoni inudibili
che non si schiantano.


Cerili oltre la soglia,
viva di sonno scoperto
agili seni. cercare
a sera che tu sia e
che tu sia di Bacco, lestre;
che tu non ti vòlti,
agli seni,
quegli occhi su me.


Codeina al party
del codice a coblas.
Sia forte l'Altro,
colle colubrine svelte
del coltro al bromo.
Ed in vaio quei fez…
Vae victis! Rien…
Rigidi bipedi, zane,
all'esca di vagine


Auspici.
e stabili e sabbia
agli spalti di canne.
non certare in vece
disparte i tuoi nomi
da sene agli snodi.
Fragili silenzi charme
to-night-ly for ever.


Verrò di notte al tuo viso,
ebri di calce, nastro
suadente di sonno.
Verrò dal tempo senza
più dimora, pietra
di lunghi silenzi.
E sul greto nuda,
respirare il tuo odore,
fresca ogni notte
ti sazierò lì accanto.


Ed est sombre,
vivere che sia aux nuits
es est cedimi corpi
che sia, sombre, aux nuits,
cederti notte.


Pharmakos
Bes beta sull'abato acuto.
L'orlo in cantata, al domino
a corbe. Detector, ferla
ai laschi main-gauche.
Alle dure echei di pietre
da costa.


Bocche
Già di resa mavì bolivar.
China in falca al cuneo deserto.
Bacchino turi scarlatti
una sete di facole ellissi.
Abbiano miglia di scari,
laceri fiossi della stringa a gas.


Ribes
Di pezze pevere
i letti mescàl.
A picche,
liquidi i canòpi.
Il grado fresco
delle membra
a cantina.


Mandorle
Dove, cremisi in dry.
In diurna, e nature
cabrino da sempre,
a méde xerobie.
Dialiti e mecche,
fresche di orbaci.


E cifre e
lacche di lacerna,
sotto ladre, al mago
di vicari da zerbo.
Che sciti o sene dagli
scafi, che semplici saros,
sui rem, sull'acque.
Alla sesta filtrano di specchi,
di sete, di sferre.


Di bolina, battono
in masque, sulle baviere
le notti.
Il benthos, breve,
sue celle, di branda.
In maser campo,
se gli istinti, ai superiori
di scherma, al massico
ancora.


Fragili silenzi charme
Fragili momenti/, difficili, duri, discosti dal violento desiderio di contatto umano, di incontro fra due forti, stanche fragilità.
Momenti disattesi, momenti per altri e ad essi dedicati...
Poche parole insieme, la sera ancora una volta di totale, impossibile condivisione...
Sono lontana, sono un altro essere tramato da metacoscienze, inconsci, mille frantumi di sé, sono molto lontana. Reale ingannevole fragilità, un momento un istante, di rapporto cristallino, di consistenza oltre ogni già detto, oltre il cercare che avvenga che sia così, senza che ci si avvicini mai. Ti appartenga il mio corpo che è asperto di te, appartenga all'arcano che vedi nel mio buio.
Approssimarsi per un frêl istant a questo nodo, e avere di fronte un avvolgente derma percettivo, il suo saluto, passione, la sua luce nel guardarsi.
Sono un altro essere distante. Un rapporto, intuire che per costui la mia realtà non è trasparente, ma che fra le altre tende uno stame di dolce, segreta, intimità oltre la nicchia astorica di quella che chiamano vita.
Lì trascorrerne un po' di vita, e provarsi che esiste. Stornare il resto, che sia sospeso.... e basta.
Fragili silenzi charme dolorosamente in una sera d'impossibile condivisione.

 

Che sia neve ancora
Sai, vorrei essere ancora sotto quella neve, con te a fianco, il buio increspato dai fiocchi, un buio più tenue più forte, sferzante, scintillante.
Vorrei essere sotto quella tettoia e parlarti, di me, di chi sono, di chi non sarò mai, di mio padre che mi ha lasciata qui, sola, nell'erebo..
Vorrei ascoltare da te mille parole cortesi e come se il loro suono potesse accarezzare il mio corpo così sofferente, tutto grinze di pianto non sciolto vorrei accostarmi al tuo velluto.
Vorrei guardare ancora quegli occhi aperti su di me, che mi aprissero davvero nel profondo, vorrei che per un attimo, vedessi ciò che io vedo....
Vorrei discernere quei fiocchi ancora, vorrei potermene meravigliare ancora, e invece sono qui come davanti a una piena, ad attendere che il tempo passi.
E cospargermi della tua ombra fino a un'impossibile sazietà, cospargermi in tutti quegli attimi in notte di cui si compone il giorno, su ogni lembo del mio essere, per una sera, la mia notte, la nostra notte, ogni notte, e per sempre.
Se ora rimpiango un breve istante fra i fiocchi di neve di mobile, inquieta serenità con te finché non tace la calma sulla cornea infuocata.

 

Cappotti
E invece, giorni qualunque indossati i soliti cappotti, distanti, perduta, forse, quella neve.
Dormire, sonniferi, effetti collaterali, voglia di amore, contatto, vicinanza, paura, ferite.
Anche stasera, sai, vorrei essere ancora là, sotto la tettoia, oppure in un immaginario là ove ci sia scintillio, calma, tue parole, miei silenzi, il mio dolore finalmente non celato, non truccato da gran sera, il mio dolore secco, là, con te, me, con queste parole.
E poi vorrei anche poter ridere un po' le tue battute, ma sì, facciamo che vi sia anche il frastuono dolce della folla cittadina lì intorno...
Vorrei guardarti e sentire che tu vedi me.
Magari in un'altra giornata di sole come la silente mattina sul Ponte, ascolteremmo quel sole, due chiacchiere, dopo la neve, la notte, il dolore.
Non so se vuoi me e il mio dolore.
E non so cosa rappresenterò mai per te.
Forse un'anima ferita, incontrata per caso e riconosciuta.


POESIE E RACCONTI DI STEFANO GECCHELE:

Tetrazine
Tetrazine sparse
io fui
la nitroglicerina espansa,
l'analita',
il dolore.

Troppe cose,
la tua stanza
adesso
e' un obitorio.



Rinascere.
Rinascere.

Perché vivere sarebbe bello.

Avere un sistema nervoso.

Un padre.

Picchiare la gente senza tremare.


The only mistake
Esiste per forza nella scienza di Dio,
un punto nero, una macchia,
qualcosa che si e' ingiallito,
guastato, inceppato.

E' un nulla impercettibile,
il peccato del mondo,
il demone dei demoni.

E la vendetta si posera' su di lui,
imputridito e stanco,
il piu' tardi possibile
quando neppure il Cristo
ricordera' il suo nome.

IL CAPO.


Io stesso sono l'abisso che ho sempre invocato:
il mio cuore non mi lascia un alito di vento.

Un'essenza mi ha invaso,
invaso necessariamente.

Qualcosa e' mutato in me; di certo
io sono l'abisso che ho sempre invocato.

Necessità ed arte:
questi i poli- avevo ipotizzato.

Sostanza e' invece dinamite,
sostanza e' in fondo polvere da sparo,
sostanza e' lo schianto,
rincorso per secoli
scovato in un attimo.

IL CAPO.


Il primigenio
Rintocchi di campane
per scaricare la rogna
dei fedeli che pregano
assiepati fra i banchi.

I servi di Dio che piangono
e rifiutano la Comunione,
i chierici distruggono
le effigi divine...

In un attimo solo,
i secoli bui,
il medioevo, la rogna,
tornano, racchiusi in me,
splendenti in me.
IL CAPO.


LUI E LEI
Lui e lei sono in un posto di mare con il loro angelo custode,
di vocazione masochista.

Lui e la sua ragazza sono distesi, uno vicino all'altro.

L'angelo li guarda e un poco li invidia.
Parla di metapolitica, di neo-fisica, pensando ad altro.
Sono tutti in piuttosto noiosa attesa.
Dei loro parenti che arriveranno da un lontano posto.

Lui non e' amato dagli italiani, lei e' la disperazione degli uomini spiritosi.
Insieme formano una coppia sperimentale. Intanto, si abbronzano al sole.

Lui e' famoso per le sue corse, le sue corse solitarie (finita la corsa, uccide un gabbiano.).
Adesso e' sfinito, con la sua ragazza nuda a sentirlo parlare. L'angelo ci pensa ma non sa cosa fare.
E' allo stremo delle forze e della solitudine.

Decidono di rincasare, fatti di noia.
L'angelo osserva la ragazza spoglia e pensa all'ambiguità' segno-sogno.
Insieme prendono la strada per Disneyland.

Sono tornati gli attesi parenti che prodigano baci e sorrisi.
Lei e' splendida, ma e' pronta a non dir niente per tutta la sera.
I parenti si espongono in attesa di un segnale.
L'angelo in un angolo fischietta "What a wonderful world".
Hanno organizzato una cena fra i crismi dello sfascio.
Lui e lei si baciano scambiandosi i ruoli, l'angelo si innamora di ogni donna che passa.
I parenti annunciano terribili notizie.

La torre di famiglia e' stata venduta lui ora e' nel sogno e la torre brucerà, sarà data alle fiamme.
I passanti ubriachi ne brinderanno la fine.
Appaiono dei vecchi con al guinzaglio dei cani.
Sanno che e' meglio morire che rimanere in vita.
I vecchi smagriti sono disseminati per strada.
Qualche cane si accascia, travolto dagli anni.
Finalmente e' solo, e finalmente ha trovato l'uscita.
La folla e il boato non sono ordinari: e' il Padiglione d'Oro di Yukio Mishima che brucia
e lui ne e' il protagonista.

[...] Adesso e' sveglio e ha voglia di andarsene.
Lei si volta, ma e' stanca di rincorrerlo.
L'angelo sa che non e' per l'ennesima volta.


L'OSPEDALE
Doveva essere il reparto donne.
Uno sterminato reparto donne visto che non finiva mai.
Il giovane non era contento di essere lì'.
Fu anche preso da una specie di raptus perché il reparto donne non finiva mai.
Erano i seni che le vecchie nude per il gran caldo mostravano
che gli provocavano angoscia.
La natura, pensò illuminato, ti regala anche "corpi splendidi, ma poi glieli devi restituire con gli interessi !"
E quelle donne lì' dentro
stavano restituendo tutto-
il cuore, però, per vivere di balbettii o di urla no, quello no.

Ad un tratto un infermiera si scagliò contro un vecchio che stava sorseggiando un caffè.
Nessuno avrebbe immaginato che lo faceva per il suo bene.
Quel vecchio era strano e il giovane rimase impressionato dal suo volto.
Mentre pensava a lui, lo senti bestemmiare e inveire contro le infermiere.
Vide sua zia in fondo al corridoio correre con un bicchiere di acqua in mano.
Si mostrò assai caloroso con gli zii.
Era per lui un vero piacere constatare che malgrado tutto sapevano condurre un menage di coppia abbastanza allegro.
Erano fatti l'uno per l'altro, non c'erano dubbi.

Ma a parte questo non stava volentieri li'.
Qualcosa, al solito, lo turbava.

Pensò a quel vecchio e ricostruendo la sua faccia gli sembrò
quasi di rivedere un vecchio quadro fiammingo.

Quel suo volto gli ricordava qualcosa di sé,
del suo destino,
del suo male di vivere.

Quella cosa non durç che per pochi secondi:
quando la zia gli chiese di aiutarla ad alzarsi il pensiero svanì.
Una musica intanto risuonava dal giardino:
era un vecchio con una fisarmonica nuova che non sapeva suonare.

"E' un pazzo" osservò mio zio "dice che in musica come in poesia non c'e differenza, una nota vale l'altra.
E strimpella in continuazione. Io lo vorrei morto.".
Il giovane si guardò attorno e vide che lì
le persone non potevano far altro che ascoltare la radio, bere caffè o fumare sigarette.

"Ognuno reagisce a suo modo alla malattia" aggiunse lo zio ed era difficile dargli torto.

Lo zio poi si diresse verso il vecchio di prima e i due cominciarono a parlare.
Erano amici e insieme maledivano il mondo, ridendo anche ogni tanto.

Pensò con stima che quei due avevano un senso dell'umorismo davvero sottile.
Il giovane comunque era a disagio: si sentiva di troppo anche li'.
Così salutò tutti cortesemente e se ne andò.
Pensò ai suoi amici e alle sue amiche ma si accorse di non averne.
Erano solo incontri fortuiti, per il mondo come da un'altra parte.


STRANI AMORI
Questa e' la storia di una lei, di un lui, e anche di un ex.
Veramente, e' la storia delle sue isterie, dei suoi modi prepotenti, delle sue insistenze,
cioè dei suoi modi dolci, delle sue generosità, e delle sue carezze...

O, più semplicemente, e' la storia di un uno che andrà in tilt, che prenderà caffè e sonniferi insieme,
che perderà amici, parenti, fidanzate...

Oppure questa, piuttosto, come dice lei, e' la storia,
di una ragazza e di un ragazzo troppo belli,
una storia di sesso fra sessuofobi, o una storia d'affetto fra sessuomani...

Comunque, una storia impari, una lotta persa in partenza, giocata molti anni fa,
fra generazioni lontane, fra caste diverse, da sempre in guerra fra loro...

A dire il vero, infatti, questa non e' mai stata una storia d'amore, ma solo una guerra,
dove c'e' stato chi ha vinto e chi ha perso ...

Una storia di afasie e logorree , di disturbi della personalità, di tendiniti e malcelate timidezze -
i momenti migliori infatti li avevano passati al cinema.

Dice Bohumil a pagina 74 dei "Treni":" Milos, Milos io ti voglio bene, tanto bene,
ma di tutto quello che e' stato ho colpa io,
ho domandato alle ragazze come si fa,
ho domandato a quelle più vecchie, sicuramente, io ormai so come si fa...sai?"
ed e' più o meno quello che lei ha scritto a lui,
solo che lei e' matta,
la più matta di tutte e non si fa amare da lui,
o almeno a lui non riesce,
questo non e' dato sapere...

Solo che l'ultima volta che sono stati insieme,
lui e' tornato a casa,
ed era sabato sera,
e si e' guardato allo specchio,
e i suoi lineamenti erano puliti
come mai li aveva visti e
come- noi sappiamo-
non li rivedrà mai più.


LA FESTA
Anche se giovane e spiritoso a quella festa avrei preferito non andarci.
La stanza della festa e' grande ma e' come ingolfata, di musica e fumo.
Alcuni ballano fra le bottiglie di birra sparse sul pavimento.
Altri siedono per terra, strascicati o semiaddormentati.
Non hanno l'aria di chi si vuole troppo bene.
Stanno seduti o sdraiati,
ognuno a distanza di sicurezza dall'altro.
Gli uomini hanno le barbe incolte,
si vestono trascurati, e sono poco igienici.
Pochi, forse nessuno, ha la cravatta, malgrado la festa sia di un qualche conto.
Le donne sono scollacciate, e il colore che preferiscono e' il nero.
Sono sprezzanti e aggressive, e i corteggiamenti sono rari.
Una ragazza con il seno prorompente balla con un ragazzo truce, faccia sfregiata butterata.
Ballano vicini, con lei che si struscia. Lui e' visibilmente eccitato.
Deve essere uno che ha lottato per ottenere ciò che ha, almeno, mi da' questa impressione.
Ecco, loro due sono stonati in questa festa, stanno insieme, si vogliono bene.
Per il resto, non c'e' nessuno che sorrida.

Il riso sembra out, e quel poco che c'e', e' incosciente, demente.
L'impressione che si ha, e' che questa e' gente che ha capito.
Che credeva in qualcosa, ma che adesso non ci crede più.
Gente giustamente disillusa.
Pieni di coscienza, di letture colte, di cultura alternativa.
Si irride al perbenismo, al carrierismo, al militarismo, ma in realtà si irride un po' a tutte le cose.
Siamo come nella terra di nessuno, come sonde esplorative che aspettano una risposta.

Alla fine, non rimane niente, rimangono stanchi i corpi, i discorsi.
Ci sono lumi di incenso, c'e' odore di hascish. Poco anche di questo.

La stanza e' isolata, fuori dal mondo.
Fa freddo, ma non e' per questo che non si esce.
E' che fuori o dentro la musica non cambia. Assurda, opprimente senza risposte.

Sono sparse in giro alcune foto che qualcuno ha fatto a pezzi.
Sono foto in bianco e nero colorate di rosso.
Ne ricostruisco una tanto per fare.
Sopra si intravede un bambino che piange
colorato di rosso.


POESIE DI RICCARDO IELMINI:

Finché un giorno hai a che fare con la vita,
voltandoti all'improvviso, e mettendo
gli occhi dentro una faccia,
per poi ritrarti, come per difesa,
nell'abitudine dei tic nervosi
e dei vizi, mandi giù le tue gocce
di lexotan, prima di andare a letto
(si sa che oggi la soglia del dolore
s'è abbassata e l'angoscia mette meno
tempo, a dare di stomaco).
Eppure, la vita. Non dovrebbe essere,
non è fuori posto, fuori misura
e il corpo lo sa (sono io che mento)
il corpo è pronto, la mente è protesa
la riconosce, la corda infinita verso l'alto, e si abbarbica
nonostante quel senso di vertigine
mentre aspetti il tuo turno dal dottore

Preoccuparmi del mondo, e poi sparire
avrebbe senso (guarda il capannello
di gente attorno alla macchina vuota)
ma poi il magone, tutto quello strazio
lasciato lì in sospeso (vedi uno
che apre la portiera, entra poi si siede
perlustra, niente, sparito) il mondo
non ne ha mai abbastanza di gente che
si preoccupa, non è sufficiente, avrebbe senso dire

ho combattuto la buona battaglia

ho creduto l'incredibile che

si può mantener fede alle promesse
(ecco trova il foglio nel portaoggetti,
dice un testamento, sarà, forse
un testamento, lo apre e inizia
- preoccuparmi del mondo e poi sparire)
- avrebbe senso dire
- ho creduto l'incredibile, ma
- le parole tracciano righe dritte
- sono i nostri impacci che non le sanno
- seguire, ma va bene, e poi sparire

Stare nel privilegio della vita
ma che ne so io della vita, cosa
ne so del pianto nel confessionale
e delle due dita di muschio sotto
i piedi nudi che ci vorrebbero
per starci con merito, che ne so
dell'odore dell'erba al primo taglio
dello strazio delle parole che
non vengono, per dire ciò che devi,
in ogni caso mentre passi al vaglio
tutto, per mettere in ordine i pezzi,
il corpo, la coscienza, per capire
che il coraggio della vita non è
cosa che ci nasci, non ne sai niente
ma servono le parole che servono
e basta, oggi c'è il sole e il cielo limpido:
si sta nel privilegio della vita
come si sta nel cuore del mistero