Poesie di Massimo Acciai
VERE NE INTERESAS
Vere ne interesas
Se unu stelo nura
En ci tiu cielo brilas
Soleckolora.
Se la musiko kaj la fajroj
Fugigas la timon
Pro la mallumego.
Ne gravas
Tute ne gravas
Dum ci tiu nokto
Promeninda, vera,
tra herbaroj kaj construajoj
tute ne gravas:
se estas demando
la respondo estas en la kor'.
Mazzin di Fassa (TN), 24 luglio 2002
PENUMBRA
La penumbra de la tienda
olía a tigre
el hombre se descansaba
detras de la pantalla
mirando el mundo digital
mientras tanto vivía
una vida digital
y amaba a una mujer
que no existe.
Firenze, 21 agosto 2002
AMARILLO LEMON
Me recuerdo tardes amarillas
Y puestas del sol color de la rosa
Que hacen roja la nieve y los montes
Aquel abeto me recuerda felices Navidades
Pero, que raro abetal
Con naranjas reflejos entre las agujas
Y los días, los meses, los años
Mutan las cosas y las ideas
Como la luz
los colores.
Firenze, 17 luglio 2002
CANICULA
Cadenas oxidadas de las lunas,
trituradas de la canícula,
mutación de horizontes,
desafíos relanzados.
Canciones de cuna en un idioma antiguo,
de un pueblo desconoscido.
Canta el guardián de las teclas de la ciudad
que ha puesto los obturadores sobre los sueños.
Espero fuera de la cancela
con pantallas insuficientes.
La reina negra mira
el proceder fúnebre,
los cobres
y llama a su niño de la luna
que baila en el rio
que sueña en la sombra
del sauce obscuro.
Firenze, 22 agosto 2002
DOS AÑOS, DOS MESES, DOS DIAS
Querrìa decirte
A ti que eres mi luna
Mi estrella polar
Cuanto me hace estar malo
Ser lejano de tì
En la entropìa del tiempo presente
Y mientras se levanta el nuevo
Antiguo milenio
Y un alba futura,
di ningùn modo nueva,
me verà hombre de ayer
menos joven
y el sol se levantarà siempre a este.
¡SUERTE!
Caminó hacia la playa
Bajo el cielo verde
Encontró al dinosaurio
Y le dijo ¡buena suerte!
ALGO
Hay algo
Que se queda
En el fundo del vaso
En los días negros
En los ojos del gato
En el fundo del plato
En un solo pensamiento
En todo el universo
Pero no es lo que tu piensas
Firenze, 17 luglio 2002
EL ULTIMO RESPIRO SOBRE LA TIERRA
Crean pues
que nunca fuera un dios
en la extremidad de este mundo
que dió a la relativa gente
de buen corazón
como pájaros sin alas
de otra base
dramático como un juego
evasivo como una sombra refugio
archivo de trágicas locuras;
pero no tiene importancia!
Aquí hoy el cielo rojo cuenta a su cuento,
pero los únicos ojos que oyen son mis ojos
la paz entre las colinas
la noche verá todo el coraje.
Ellos sonrieron de sus cuerpos líberos,
todavía esperan
lavando sobre la luna sus esperiencia,
sonrien por mis hundimientos.
Sí, recorreremos juntos el trayecto de mi lugar,
conservad fuera de la noche
la lama helada
yo esperaré entre los peces silenciosos
entre la hierbajo y el agua viscosa
el otro lado del espejo.
¡Yo también quiero beber esta agua prodigiosa!
Firenze, 20 agosto 2002
Poesie di Simone Cattaneo.
I bottoni della tua camicia
a contatto con la mia pelle
creano quelle che tu definisci
resurrezioni spirituali,
lievi smottamenti di carne
che rendono ogni filare di muscolo
un'umida parete rocciosa
dove il cielo scandisce la sua curava rosa
prima di scattare come una tagliola
sulle palpebre,
e scordare il bisturi celeste delle tue dita
sommerso dal fiume carsico
del mio fitto fiore di brina.
Ti togli la camicia
così come il cielo
si libera della pioggia,
e in quel piegarsi concentrico
di tessuti un suono nasce
e rapisce le nuvole cariate dal sole
che trascinano gli astri,
nell'abbagliato oceano
delle tue scapole
fiorite di tagli.
Poesie e testi narrativi di Simonetta Della Scala
Nel buio di autunno, per voi qui, una notte, la nostra notte.
Porpore rivista on line di costume e varia cultura contemporanea si
dà ai presenti nella sua seconda perfòrmance di contaminazioni
fra le arti, le sfaccettate Contaminazioni Creative di Confine.
Nel seducente specchio-non luogo di www.porpore.com troverete i cangianti
redattori: Massimo Acciai: Orizzonti, Valentina Barlacchi: psicoarte,
Mania Brundu:costume, costumi? Marco Di Bari: cinema, Rosaria Lo Russo:
non c'è rosa senza spine, Giacomo Marconi: musica, Monica Pintucci:Il
trampoliere, ed io, Simonetta Della Scala, direttore della rivista:
camaleontici interventi).
I performers cristallini fra le molecole oscure per esplorare accessi
di confine: Stefano Bonomi: prima chitarra elettrica, Francesco Borselli:
batteria, Daniele Caruso: seconda chitarra elettrica, Simonetta Della
Scala, Daniele Favilli : attore, Valentina Sorgi: danzatrice.
Testi di: Massimo Acciai, Simone Cattaneo, Simonetta Della Scala Marco
Di Bari, Sara Frequenti.
Fotografie di Sandra Nastri.
Inebriante costume scenico: Mania Brundu.
Coordinamento evento: Mania Brundu.
Aspergetevi con porpore, stagliata sulle vostre percezioni, di
un misterico viaggio verso l'Altrove.
Arizona Dream, Emir Kusturica, 1993. Riamaneggiamento teatrale da
una critica di Sara Frequenti.
Rapporto tra due donne: difficoltà. Amore-odio, risentimento,
incomprensioni, invidia, ma forse.. protezione o affetto sotterraneo.
Sono Grace che decide di uccidersi. E so che solo allora Tu, Alex
scoprirai che dopo tutto, nonostante tutto, la vita vale sempre la
pena di essere vissuta.
I pesci "sanno tutto e non devono pensare, non mentono mai e
guardandoli negli occhi si può vedere riflessa la propria vita."
li trovo/mi trovo nel mondo fantastico, dei sogni dove tutto è
possibile. Un'immagine che vola verso cielo, libera nell'aria. I sogni,
come la vita, non si possono afferrare perché non si vedono
bene. Ma per TE Alex, se credi nei tuoi sogni, nessun uragano, nessuna
tempesta, nessuna forza potrà mai distruggerti e portarti via
l'amore perché l'amore esiste per conto proprio, sopra e al
di fuori di ogni legame razionale con questa realtà. L'amore
può, ed è una direzione pericolosa, il Confine. Conosci
la visione della morte degli eschimesi? Pensano che... se muori...
l'involucro fisico diventi parte della terra, mentre l'anima continua
a vivere in altri oggetti, in altre persone. E se non ci piace ciò
che si è diventati non ci resta che aspettare di diventare
qualcos'altro. E se gli amanti morissero insieme le loro anime rivivrebbero
e si amerebbero all'infinito. Le donne che si legano di corde in strettissimo
odio corde che impediscono all'una di staccarsi dall'altra. Disilluse
su una felicità che in questa vita è forse troppo difficile
raggiungere. Ed ecco Sono la Grace che vuole/ non vuole morire per
potermi reincarnare in una tartaruga, senza pensieri, senza rancori.
Sono la Grace che quando ottiene il tuo amore Alex, e che quando afferma
per la prima volta che la vita è bellissima, sono la Grace
che sceglie la morte. O forse scelgo solo di lasciarmi andare al mondo
dei sogni, stanca di lottare, debole come una bambina spaventata verso
un'altra vita, ultraterrena, eterna forse, come può sembrare
quella di una tartaruga. O forse ancora sono Helen con la mia smania
di bellezza e di giovinezza, ed amo mia figlia che ho salvato da un
padre che la violentava. Sono capace di resistere alle sfide e di
andare comunque avanti.Sì sono..potrei essere Helen ed avere
la forza e la capacità di credere fino in fondo nei miei sogni,
anche se sembrano impossibili. Sapevo fin da bambina che sarei riuscita
a volare. E volerò sopra la gente che mi deride, al di sopra
della realtà. Oppure, sai potrei anche tramutarmi nello zio
Leo all'apparenza forte, alla ricerca di una felicità terrena
accanto ad una donna giovanissima, e potrei ancora scegliere come
lui, la strada della morte. Mi arrendo? Rinuncio a lottare? I miei
valori terreni sfuggono via.. volevo ricchezza, bellezza, giovinezza...
Ma ho una speranza. una vita oltre confine: diversa. L'ambulanza volerà
verso la luna. E mi solleverà da errori, dolore.
Purgatorio, anticamera I visionarietà
Londra. L'uomo di luce.
Camere d'albergo. Guazza per terra.
Una calda mano sul cuore ed una tenerezza straziante, ma ancora, di
nuovo, non posso afferrarle.
L'uomo di luce con me.
Lontano.
E' un'estate presaga. Lei sul letto. carezze fra le magliette aderenti.
Vorrei non vedere quella luce che si staglia netta sulla mia psiche.
Londra. Tre anni fa. Texas. Summer soon.
Angeli perduti. Un angelo che sta per andarsene lontano dalla mia
consapevolezza.
Immagino il mare di lei. E' un mare fitto di touchs sul corpo. I loro
corpi. Video. Il mio/suo corpo. Cimitero di Marx.
Camere d'albergo. Mauro adesso, angelo davvero, lì con noi.
Ascolto solo l'uomo di luce. E fingo essere con loro.
Spio il mio ventre, ossessivamente. Cambridge. Londra.
La sera a intarsi fra i mille cantoni della magica city.
Vedo? Perché non mi liberi, uomo di luce?
Perché sei con me e su di me?
Anche i miei occhi sono rossi. Lucido sulle labbra, tests, voglio
le loro mani su me.
Le mani del video. L'uomo di luce che scompare.
So che qualcosa sta per finire.
per sempre.
Ed è un angelo che pochi mesi dopo se ne andrà.
Ti vedo sulla spiaggia, hai le membra scomposte da quei fasci, mi
prendi per mano, come lei, anche se l'altro mi vuole, devo seguirti.
Perché?
Non ho aderenza. Il suolo non esiste.
Tramonti dolorosi. Lui è dolce. ma sono dell'uomo di luce.
Anche se l'altro non lo sa.
Londra; tre anni fa. Capelli scomposti sui cuscini.
Musei, fingere di non volersi gettare nel suo vortice.
E avere dentro l'occhio del ciclone.
Mi guardi, sei distante. Mi guardi, uomo di luce.
Perché? Dove vuoi portarmi?
So che ci sono le acque vicino. Sole sulle acque?
Tu ed io nell'oceano?
E l'altro che continua a restare, sfiornadomi la maglietta.
Sono ancora tua uomo di luce.
Mi volto all'infinito e tu sei lì.
Inferno decisivo
"Ho visto i tuoi occhi prendere forma al confine".
Erano lame indecifrabili. Ti ho udito parlare con due voci dissimili.
E ancora iris cangiante. Ho cercato di te l'ombra che custodivo, ma
non è mai tornata. Talvolta ho creduto, che non vi fosse realtà
al di fuori, che tu non avessi potuto prendere ombre sui miei desideri
ed incarnarli, anche solo pochi istanti, che fossi esistito così
come ricordavo. Ho creduto in una tua identità, ho creduto
che avessi lasciato quel confine, ho immaginato un te mai percepito.
"I tuoi occhi prendere forma al confine".
Ed un altra soglia in perenne oscillazione, una notte di agosto. Ho
sospirato tra realtà e morte ferma in un arcano per lunghe
ore nel mio profondo. Voci, flash. Risvegli, ancora, parole abortite,
negate, paura, croci. Non avevo accettato che fossi tu la banda di
commutazione. Non avevo mai accettato il tuo Confine.
Ho sentito, il mio corpo, di nuovo, la mia mente, il gemito dolcissimo
di un non luogo ove si è alieni al fuori, ove si aprono seducenti
porte dimensionali, ove gli incontri non sono mai a caso.
Lì, ti ho visto inequivocabile forte e debolissimo centro del
tuo sconosciuto confine. Lì ho preso per sempre la strada del
mio limen lontano, un'altra soglia, una soglia per me sola oltre ogni
confine.
"I tuoi occhi prendere forma".
Editoriale
Abbiamo coscienza, dell'apnea d'ossigeno che vibra forte sui dorsi
del limen, sappiamo di accostarci alla terra che si fa mobile.
Per tutte le anime sole, confuse.
Per chi sa di non volere la propria felicità ma il bene altrui
sopra ogni cosa.
Per ogni creatura abbandonata, povertà, paura, silenzi.
Per chi ha sulle cornee l'oscurità che scende oltre lo sguardo,
per chi era lì e sa cosa c'è intorno, ed ha potuto discernere
il loro smarrimento, atterrirsi insieme a quelli che non sono presenti,
e ancora resistere.
Per i giorni che si confondono, senza speranza, senza più cercare,
per chi non sa cosa farsene di questa vita in dono, e vorrebbe assaggiarne
voracemente i sapori, ma tutto sfugge in un inesauribile grigio disfatto.
Per chi non si arrende, nonostante tutto, anche se sarebbe così
dolce lasciarsi andare in sinuoso cupio dissolvi, in notti disgregate
e disgregarsi con esse.
Per coloro che accettano di essere soli, soli con i ricordi, soli
con gli attimi di impalpabile contatto che nessuno conoscerà
mai.
Per chi non ha stagioni, per chi vaga nel mondo, immerso il corpo,
avvolto, tra le sabbie mobili.
Fin dove si snodano le corde del dolore possibile, fino a che soglia,
la perdita come un pullulare di membra in un eterno infinito?
Per chi non ha certezze, per chi ha dovuto trovare una forza specchiato
nella disperazione. Per chi non ha saputo lottare, per chi ha cercato
un'uscita, vana, illusoria, pericolosa.
E cos'è il pericolo? Cos'è il percolo della vita per
queste anime, per i loro sogni, per gli istanti in cui sono se stesse
e ciò che non saranno mai? I momenti preziosi di questi cuori
avvolti dalla neve.
Conosco tante creature così pure da impietrirmi mentre le osservo,
angeli, angeli e basta.
E cosa c'è, mi chiedo, cosa conta il loro destino nell'era
dei profitti, del successo a tutti i costi? Chi custodirà i
loro successi, i loro sentimenti, i loro sogni? Sono essi, il controcanto
della realtà distorta negli asfalti. E per chi soffre di qualunque
piaga il corpo o l'animo flesse in tensione, per chi vede il domani
scomporsi in una patina vischiosa, paralisi, parestesie in un ramo
del sé. Oscurità in un agosto pregno di vertigine.
E sono tanti, gli angeli vivi, schiere non omologate di bisogno
d'amore, di vuoto che erode le pareti dei sensi, di una percezione
che rende corpo e carne ogni vissuto. Per coloro, che come me, hanno
quasi attraversato il confine, e sono tornati indietro, ed hanno vinto
la battaglia più feroce, con l'umile forza in dono, per coloro
ai quali questa lotta ha sottratto qualcosa, per chi solo sa, cosa
significhino tali cicatrici, per chi legge la dissimile luce, più
fioca e pervicace nella ruvidità della tenacia.
Erano le prime luci del giorno, un'alba filigranata dallo scorcio
fra le case, con un silenzio di marmo tutt'intorno. Un taxi, di sfuggita,
e le parole del suo conducente, profilo filosofico di un qualunque
mattino:" a quest'ora- mi confidò- chiunque salga sulla
mia vettura, non può che essere un essere sconvolto. Sconvolto
dall'alcool, dalla droga, dal sesso, dall'essere andati in bianco,
dal sonno o dall'assenza di esso, dal dolore". Solo sagome turbate
possiamo scorgere, vischiose allora, sparire nel baleno sfumato.
Neve-volti,
marzo-silenzi.
Ancora neve, luglio,
voci diramate, ancora silenzi.
Neve-agosto, futuro-inconscio, terapie.
Dolore. Sensi ancestrali, turchino
sul tuo verde giada, l'arancio sbucciato fatto mio.
Braccia che non possono toccarsi. Ritrarsi
e giocare, far finta che ci sia il nulla oltre,
mostrarti di non avere visto.
Di non sapere quel vuoto dentro, come un collante,
di non saperti lontano insieme ad esso.
Presagire che sei me e non vuoi esserlo,
fuga, vecchia in filigrana, anni in cui non ci sarai,
Sono vicina/ distante/ a contatto. Sono solo
un poco d'essere e nient'altro.
Per tutti coloro per i quali il mondo onirico si sdoppia in eguale
prossimità col reale.
Per le menti in continua estasi borderline, a cavallo fra incubo e
realtà, per chi percepisce schiere di spettri ovunque, per
chi non ha confine, terra, Altrove.
Per chi un tempo ha afferrato protezione, fiducia, un volto da guadare,
un volto che era lì, unicamente per rimanere, ma che non è
mai rimasto. Per chi si sentiva sicuro, per chi ha conosciuto la consistenza
di un altro essere.
E per tutti coloro che non saranno qui, non oggi, domani nel mondo,
ma che un giorno hanno vissuto, o non vissuto, e sono dentro la pelle
di chi li sente vibrare presenti, di chi avverte la loro scossa e
ne cerca il voltaggio, che aumenti, accresca la sua forza, ci renda
un po' della loro corrente, sazi il vuoto questa contaminazione fra
distanze, sazi il vuoto una permeata dimensione.
Forse un palcoscenico servirebbe, una luce inside, essere in mill'attimi
gli atri sé, forse, continue repliche sulle iridi ghiacce perché
durino ancora gli applausi...
Spiriti dissolti, trasparenti, corse a fiato corto, vertebre brune.
Chi frangerà la paura, la notte su queste membra, di chi saranno
gli sguardi degli angeli, chi ne delimiterà la purezza adamantina,
chi li vedrà oltre? Chi avrà memoria dei lunghi istanti
sulle palpebre chiuse, sui vettori impazziti? Chi custodirà
l'ansia di scuotersi da dentro in una danza netta e tribale come unico
canto?
Che senso per gli angeli, sapere il gusto morbido di una mano in fondo
al cuore, strappata via feroce, quando meno vorresti, quando non hai
difese.
Gli angeli chiedono mani ancora, come unico senso.
Verrò di notte al tuo viso,
ebri di calce, nastro
suadente di sonno.
Verrò dal tempo senza
più dimora, pietra
di lunghi silenzi.
E sul greto nuda,
respirare il tuo odore,
fresca ogni notte
ti sazierò lì accanto.
SDS.
Poesie e testi narrativi di Marco Di Bari
Da La terra Sacra (romanzo di Marco Di bari).
Le carte vanno sempre pagate. Dicono che porti sfortuna non pagarle.
E' come giocare senza mettere sul tavolo una posta. Sarebbe svilirle
non lasciare qualcosa in compenso di ciò che ci hanno dato,
sia esso una storia, un avvertimento o un'occasione.
Poesie di Marco di Bari dalla raccolta inedita La terra sacra.
FINIS TERRAE
Domani faremo una buona colazione
prima di ripartire,
croissants, biscotti al burro, latte,
caffè e il tempo
per il tempo che ci vorrà
portare il temporale scuro della notte
appena trascorsa.
E mangeremo felci, tetti d'ardesia, scogliere spogliate dal sale,
quello che un uomo non conquista e che abbiamo lasciato passare,
tutto si trova qui
nel vapore freddo che porta la febbre,
nella nebbia delle direzioni dell'occhio,
nel tradimento che accompagna la fantasia.
Dovremo passare con la maschera del fuoco indosso
davanti alle statue bruciate,
farci mordere dalla rugiada nelle foreste
agitando una bandiera di fame
per trovare quello che è sparito nel desiderio.
E sulla fine della terra, con tutta la terra alle spalle
chiederemo che la terra oltre continui
che ce ne sia ancora perché qui e indietro,
questa non è di nessuno.
TERREMOTO
E' piovuta da noi la neve siderale
le chiese sono di nuovo in briciole
e noi non avremo monete prima che il dolore sia
per ricostruire le rovine
i movimenti rossi del ferro
che stanno sciogliendo i diluvi
le alluvioni nelle gole aperte
le illusioni schive della fiducia
i vuoti che abbiamo amato.
SONO COSI' STANCO
Sono così stanco che vorrei scrivere
gironi dell'inferno alla deriva su navi
di fronte alle nostre coste
cadaveri portati dalla corrente indietro
accoltellati
il mio odio sfinito scorrere giallo
come un fiume sporco
così sono stanco sai
lo potrei scrivere
nella noia artificiale dell'emisfero nord
distante dalle spire di calore che si alzano via
dalle miniere a cielo aperto
dall'acqua sporca di mercurio
e veder ridere i denti d'oro degli zingari
come facce di avi accigliati
fotografie scavate dai campi e dai giorni
stanchezza
che potrei vivere
se solo fosse ottuso continuare
ad essere leggeri
traversando i viali a mezzogiorno
senza un bastone bianco
ricevere riviste e passarle al macero
con i miei occhi ancora sopra
illusi e compresi
ricevere visite e scrivere e telefonare e accendere
abbracciare via scivolare incontro
se stanchi si potesse correre
il rischio di essere più forti.
PRIMA DELL'OVERDOSE O DELLA MALATTIA
Che vuoi da me dio
che possa durare un tratto
e riprenderti e riprendermi
bevendo il freddo scontento
il presagio della gioia
o stringere i campi e i seni nel respiro
donne e terre
spararmi d'estate nei prati freddi di notte
un colpo di stanchezza
il sonno cui è negato l'accesso
dal silenzio.
Cos'altro, che ci conoscevamo tacendo
che vuoi da me dal distretto
"giovanile stupore"
dalle osterie
vapore su un vetro rotto
da questo tempo misurato
dall'agguato
di un grappolo di vetrine
da un gruppo scalzo di mani una promessa
tutti i bambini vanno in paradiso
cadono ciechi se ti basta
la tua ragione grida adagio
perché piove solo sotto gli alberi.
FEBBRAIO
Ogni mese è sempre febbraio
ma per fortuna finisce in fretta
i profumi di marzo sono solo un ricordo
a metà, nel divenire
la sala d'attesa del mondo
lo spazio fra un respiro e l'altro
il tempo del sangue.
E tutte queste cose
sono l'ultima strofa del canto stordito della terra
prima che le sparisca o le torni il colore
che succedano continuamente le stesse cose
e continuo nello stesso istante a scrivere questo rigo.
Quanto è lungo febbraio
che inizia prima di accadere
e la sua fine arriva appena
alla caduta dell'inverno, senza sentirla.
E marzo è un ricordo in anticipo
con la fretta di crescere senza esser nato
l'urgenza d'un adolescente senza passato.
Eppure i rami hanno la lunghezza di una stagione
sottile, che stilla promesse nel cavo
di orecchie asciutte, l'argento di quelle ceneri
per la primavera è la corsa fertile
del sonno, caduto dovunque.
PER SETTEMBRE FINO A SETTEMBRE
Riflesse dal vento
le schiene delle strade
sono un granchio morto
sbattuto da onde pigre
e su questo confine cammino
tra terra e acqua che assale
la sabbia croccante dopo la pioggia
dal respiro forte
tra rigetti di lattine decolorate
e bottiglie rigonfie
conchiglie orecchie murmuri sbiancate
anelli e collane di spine
viluppi rotondi rossi di alghe
mani braccia di alberi deformi delicate
naufraghi stranieri di libeccio
il tirreno ha una voce che sente
di acque verdi di ruggine
di cotone vergine
in questo mare addolcito di fiumi
ho sciolto più dei tramonti
ho corso senza scarpe
fin quando l'acqua si fa nera
voglio aspettare la stagione che minuscoli gamberi
schizzavano sotto i piedi
per ricordare settembre.
CAPODANNO
A Franco
Tutti a capodanno stiamo un po' in compagnia della morte.
Stiamo vicini.
Amico mio, vedi
il letto rimane disfatto
in questo mattino senza risveglio
ha generato questa pioggia e poi
si è asciugato
arido come le pause del respiro
quell'acqua nera
ferma nelle fontane e nell'eco
del traffico svanito.
Sembra che siamo attesi.
Da questa soglia tutte le case
sono un drago che dorme
incespicato in viali senza sfondo.
Oltre questa soglia ci sono gli incroci
prigionieri di mosse
del loro saluto di cenere.
E' il giorno vuoto
che deve riempirsi di niente.
Testi narrativi di Giampaolo La Malfa
"Anversa un giorno di festa"
Anversa, un giorno di festa
Mi sveglio nella penombra malessere, malessere dovunque.testa pesante,
nausea.apro gli occhi.il bambino, nell'altra stanza, piange.accanto
a me mia moglie dorme profondamente, anzi russa.non si sveglia.che
ore saranno?lentamente mi alzo, mi metto a sedere sul letto.fa freddo.ho
la testa pesante.
per forza.abbiamo mangiato male e bevuto e bevuto troppo.mia moglie
è depressa e continua a dormire.anche lei ha bevuto troppo
e forse ha anche preso le pasticche.meglio così tanto è
festa .e poi, anche se non fosse festa, cosa cambia?ma che ore sono?trovo
l'orologio: le 1.43 p.m..il bambino è venuto nella nostra stanza.mi
guarda.non parla.il fatto è che non parla quasi mai.mi sa che
ha ragione l'assistente sociale.mi sa che dobbiamo portarlo a farlo
vedere. si, così poi ci fanno con lui gli esperimenti.mi alzo,
mi vesto.lui continua a seguirmi per tutta la casa.lo vesto e lui
si fa vestire, docilmente.guardo fuori dalla finestra. è tutto
grigio e tira vento. potrei accendere la TV. no, non ce la faccio.metto
il cappotto al bambino e usciamo.andiamo a prendere la metropolitana.come
sempre lui non mi tiene per mano, ma anche se ha solo quasi cinque
anni so che non scappa via, non va nei pericoli.mi cammina accanto,
così.nello scompartimento della metropolitana siamo soli.lui
si siede a due posti di distanza da me.guarda fisso davanti a sé..anch'io
guardo fisso davanti a me.ogni tanto vedo la mia immagine riflessa
per un attimo nel finestrino. mi vedo magro, smunto. ma al tempo stesso
gonfio. ho la nausea. la bocca dello stomaco stretta in una morsa.
scendiamo alla fermata del parco. siamo di nuovo nella grigia luce.
guardo il mio bambino che cammina qualche passo avanti a me. ma perché
commina così, quasi in punta di piedi, come se saltellasse?
forse ha ragione l'assistente sociale.meglio non pensarci.ma a cosa
devo pensare per togliermi di dosso questo cane che mi divora lo stomaco.
che ho quattro soldi in tasca e non ho un lavoro.che mia moglie è
depressa e come lavoro, lavora due ore al giorno. a che dovrei pensare?siamo
arrivati al parco.tira vento, ma ci sono tanti bambini.un gruppetto
numeroso gioca a pallone., altri in cerchio sembra che cantino una
filastrocca.mi siedo su di una panchina.il bambino si siede accanto
a me, dondolando le gambe.stiamo un po' lì così, a guardare.eppure
queste persone intorno a noi sembrano vivere una vita normale.alcune
sono vecchie, altre più giovani hanno i bambini che giocano,
altre, ancora più giovani, parlano tra loro.una coppia si bacia.perché
a noi due non ci riesce di vivere?al mio bambino non lo so perché.
e a me? ho la nausea ora.ma il fatto è che ce l'ho sempre.
ma che cosa vorrei? vorrei essere come loro, ma quando ci provo, ho
ancora più nausea, e allora? sono gonfio, dovrei bere meno.
e lavorare.ma poi uno si chiede perché.la metropolitana della
vita è sempre troppo affollata di gente che non sa dove va,
né perché e allora io non provo nemmeno a salirci, ma
ho paura che sia tardi, troppo tardi.mi alzo, prendo per un braccio
il mio bambino e lo porto vicino al gruppo dei ragazzi.possibile che
non giochi mai con nessuno? lui resta un po' lì, fermo.sembra
non guardare nemmeno gli altri bambini.poi comincia a correre lungo
il prato, gira intorno a degli alberi e torna indietro.col gioco che
fanno gli altri non c'entra nulla. continua a farlo.poi capisco che
segue sempre uno stesso percorso, ma senza relazione con gli altri
che giocano.poi capisco così, di colpo, che lui non c'è
di testa, che io e mia moglie non lo vogliamo ammettere, che siamo
senza lavoro e che beviamo troppo e che non vogliamo montare sulla
metropolitana troppo affollata della vita e che ancora meno ci vogliamo
montare con un bambino fuori di testa.. e all'improvviso un'altra
idea, come una illuminazione.ci ammazziamo tutte e due, ora, subito.scendiamo
dalla metropolitana della vita senza nemmeno pagare il biglietto.
e per il resto, tanto peggio!mi batte più forte il cuore, ho
le mai sudate, ma non ho più il cane che mi rode lo stomaco.fermo
la corsa del mio bambino, che è tutto sudato per via del cappottino.come
si fa ad ammazzarsi?e in due poi. ci dirigiamo verso il grande laghetto
con il ponte che lo attraversa. ecco, così.ci buttiamo da lì,
tanto nessuno fa caso a noi. così, così va bene.continuiamo
a camminare.ci fermiamo davanti ad un banchetto che vende tante cose
inutili e anche mangime per le anatre e le oche.lo vuoi?gli chiedo,
perché vedo che si è fermato a fissarlo. nemmeno mi
risponde.lo compro, tanto è lo stesso.siamo sul punte in mezzo
al laghetto. soli. lancio del mangime nell'acqua. le anatre starnazzano.
il vento è rinforzato.il mio bambino sembra guardare lontano.
non ho più voglia - di che? di nulla.. andiamo. lo prendo in
braccio.(chissà perché è importante non rovesciare
il mangime). lui ne prende in mano qualche chicco.con una gamba scavalco
il parapetto. siamo così, abbracciati,.e ora lo sento.sento
il suo odore, il suo sudore. come un animale lo aspiro.appoggio il
mio naso sul suo collo e aspiro, aspiro, come una vertigine. siamo
nella metropolitana ad attendere il treno, con poca gente intorno.
tutte e due guardiamo davanti a noi. improvvisamente il mio bambino
mette la sua mano nella mia.restiamo così, guardando davanti
a noi.non penso a nulla, anzi penso di non pensare. non pensare a
domani. forse troverò un lavoro.forse. e così, mano
nella mano, torniamo a casa e saliamo le scale e apriamo la porta,
e la televisione è accesa e mia moglie è in cucina a
fare qualcosa (quanto tempo è che non accadeva?) e ci chiede
se siamo noi e io dico di si e tolgo il cappotto al bambino, e vado
al gabinetto e mi siedo sul cesso, perché non mi va di farmi
vedere piangere.
Dal racconto inedito "Mambo", parti selezionate:
(dissolvenza)
lui arriva nell'afoso pomeriggio in anticipo rispetto all'appuntamento.
beve una bibita e
guarda un giornale sportivo, il sole è molto forte e lui è
costretto a socchiudere gli
occhi, così tutto gli sembra avvolto da un'aurea di luce.
lei cammina lentamente, distratta. supera il locale dove si sono dati
appuntamento.
lui, che l'ha vista di sfuggita, la segue, e la chiama quando ormai
è a pochi passi da lei
e non ha più alcun dubbio di sbagliarsi. sorrisi.
- ero soprapensiero, distratta. è molto che aspetti?
- no, non è molto.
pausa. sorrisi.
- che facciamo?
- andiamo da qualche parte?
- si, se c'è ombra.
ride lei, ride lui.
(è una stanza grande, ampia. una parte del soffitto finisce
a spiovente, tipo
mansarda. dall'altro lato una finestra molto grande .fuori, il mare,
dal lato della
mansarda un ampio letto, poi un divano, un tavolo, una cucina. di
fronte la porta del
bagno. è (sembra) il palcoscenico di un vecchio teatro, per
il resto dism esso)
- sei imbarazzata?
fa lui
- si un po'. poi passa.
lei e lui parlano, ma non ascoltano ciò che si dicono. si guardano.
poi silenzio.
- che belle mani hai.
- anche le tue.
- dai, facciamole conoscere, presentiamole.
fa lui, lei ride.
- ecco,
lui si porta la mano destra all'altezza degli occhi
- ecco Milan, ti voglio presentare
lei si guarda la mano destra.
- Nadja, si chiama Nadja.
- bene. Milan ti presento Nadja. Nadja, questo è Milan.
le loro mani si intrecciano come due crostacei. la pelle dell'una
scorre su quella
dell'altra. in un lato della stanza tre granchi battono rumorosamente
le chele, in cerca di
un'uscita.
ridono.
- sei molto bella.
fa Milan.
- anche tu.
fa Nadja. ridono, intreccio di pelle, silenzio.
- vedi? non ne vogliono sapere di lasciarsi.
- è vero.
- come se facessero l'amore.
- è proprio come se facessero l'amore.
Milan & Nadja.
(dissolvenza)
A. L'amore della Regina: l'inconoscibile
Mi svegliai in un plumbeo e freddo pomeriggio. Intorno a me la penombra.
Cercavo con lo sguardo qualcosa che potesse attrarre la mia attenzione
e distogliermi dal profondo malessere che mi attanagliava. Era qualcosa
di indefinito, una sorta di svuotamento doloroso delle membra, una
fredda angoscia.senza agitazione. Provai a pensare al volto della
Regina che poco prima di addormentarmi, era proprio vicinissimo al
mio. E che impressione mi aveva fatto! La sua vicinanza, il mio sfiorare
con la pelle la sua pelle, il percepirne il calore, sentire la pressione,
la dolce pressione dei suoi zigomi leggermente pronunciati sulle mie
guance, il perdersi del mio sguardo nei suoi occhi, nella penombra
dei suoi capelli che avvolgevano come una fronda la mia testa, aveva
fatto sì che i suoi lineamenti cambiassero. L'aspetto austero
e lontano aveva lasciato il posto allo scintillio degli occhi di una
bambina. E mi ero addormentato in quel riflesso, anzi ero sprofondato
in quella luce soffusa e dolce, fisicamente percepibile su tutto il
mio corpo.
Ed ora invece il malessere. Supino provavo ad immaginare di alzarmi
a sedere sul letto, a voltare la testa. Ma non accadeva niente. Aumentava
soltanto il malessere, la nausea. Voltai con circospezione gli occhi
alla mia destra, per cercare il rassicurante volto della Regina. Non
ritrovai lo scintillio, ma solo una scura forma, immobile, fredda.
Volevo urlare e chiederle aiuto, ma le mie labbra restavano serrate.
Fuori, dalla finestra la livida luce del freddo tramonto invernale.
Volevo provare paura, ma la mia mente, come il mio corpo, si riìutava
di muoversi. Tendevo l'orecchio per catturare un rumore, uno solo,
che mi riportasse a dove ero fino a poco tempo prima, che mi dicesse
che c'era ancora qualcosa. Niente. Nessun pericolo contro cui combattere,
nessuna meta, nessun desiderio, nessun dolore.
"cercai allora di aggrapparmi ai ricordi lontani dell'infanziz,
della giovinezza, erano come avvolti da una nebbia, profondamente
estranei. Cercai di ricordarmi il lungo e flessuoso corpo della mia
Regina nel quale mi ero poco prima disciolto dolcemente.
Ma niente della passata dolcezza era presente nel mio ricordo. Solo
indifferenza. Non più il Cavaliere temuto ed ammirato.Ero il
Cavaliere del nulla, del non dicibile, dell'inconoscibile.
A2 La liberazione della Regina:. l'ignoto
Osservavo il piccolo villaggio fortificato dall'alto del crinale,
in quella fredda alba. Ancora ricordo il vento gelido che in qualche
modo mi entrava nelle ossa dal collo, nonostante i pesanti e goffi
vestimenti. Forse qualcuno avrebbe potuto scambiare questo freddo
per paura, paura prima della imminente battaglia. Ma ciò non
poteva certo valere per me. Nalim, uno degli ultimi appartenenti all'antica
stirpe dei guerrieri. Ricordo che questo pensiero mi fece sorridere.
Che equivoco! Tutta la mia vita mi passò rapidamente davanti
agli occhi: scene di battaglie si susseguivano ed io sempre lì,
avanti agli altri, mietendo vittime innumerevoli tra i nemici. Ma
che cecità negli occhi della gente! Nessuno che avesse mai
visto la realtà nel suo insieme. Se occhio disincantato avesse
osservato l'indomito cavaliere che ero, - che sono, avrebbe visto
che Nalim si portava sulle spalle una indistinta figura dalle cenciose
vesti nere e viola. E mentre mi precipitavo nel centro del pericolo,
sarebbe stato curioso vedere come questa figura sulle mie spalle,
roteava incessante il suo maglio, forse per colpirmi, forse per colpire
gli altri: non si sarebbe riuscito a capire. Quindi, a rigor di logica,
quell'imparziale osservatore avrebbe potuto sostenere, non a torto,
che Nalim stava effettivamente fuggendo, fuggendo da quella figura,
e non attaccando il nemico. E quella sorta di malinconica pensosità,
che mi attanagliava nei momenti di riposo e calma, ormai divenuta
famosa quanto il mio coraggio, forse questo stesso osservatore l'avrebbe
potuta interpretare come la fatica di portarmi sempre addosso, ospite
indesiderato, questa oscura figura. A questo pensavo, mentre i miei
occhi frugavano nella plumbea luce dell'alba per spiare il villaggio
nemico.
Ricordo che dovevamo liberare la Regina di quelle terre, tenuta prigioniera
dai mangiatori di carne umana - così chiamavamo all'epoca gli
invasori, anche se in effetti nessuno aveva avuto prove certe di ciò.
Notizie segrete avevano rivelato che la Regina era stata trasferita
in modo occulto dal grande castello, dove era stato da noi
posto da tempo innumerevole un ostinato assedio, a questo piccolo
villaggio fortificato, forse per farla partire per terre lontane.
Mio compito era, assieme ad un pugno di cavalieri da me scelto, liberare
la Regina o, se ciò non fosse risultato possibile, ucciderla.
Con un solo cenno del capo ricordo che detti l'ordine a Ajdan, il
mio inseparabile amico e compagno, d'iniziare a muoversi. Lentamente
portammo i cavalli al passo, ancora riparati dalla fitta vegetazione
del bosco. Poi, un attimo di sosta e via! Speronando atrocemente il
mio cavallo partii al galoppo. Dietro di me sentivo solo i tonfi sordi
degli zoccoli dei cavalli che mi seguivano. Sopra la mia testa l'ormai
abituale sibilio del maglio di quella strana figura che mi portavo
sulle spalle. A ripensarci oggi, che strano! Ciò che ancora
mi colpisce non sono gli avvenimenti che subito dopo accaddero - sempre
uguali, sempre gli stessi: un cranio sfondato da un colpo di mazza,
un altro corpo travolto dal cavallo, il saettare di figure qua e là,
il perdere di vista i miei compagni, rimasti indietro. No, tutto questo
lo confondo con tante altre volte simili. Ciò che allora mi
colpì, e a distanza di così tanto tempo continua ancora
a stupirmi, era il silenzio. Tutto era silenzio, capisci? Non urla,
gridi, lamenti, niente. Come se fosse uno scenario finto. Camminavo
lentamente, smontato da cavallo, mentre figure umane grosse, goffe,
si avvicinavano sempre più numerose a me e cadevano, falciate,
certo con sangue, budella, pezzi di occhio. Ma tutto in silenzio.
Mi ricordo che alla fine entrai nel portone che immetteva nel cortile
del piccolo villaggio fortifìcato. La porta cedette docilmente.
Di fronte a me, a bocca aperta, immobili due bambini - un ragazzo
ed una ragazza - ed una donna. Per un attimo i nostri sguardi si incrociarono.
Sguardi grigi, riflessi del cielo plumbeo, mi verrebbe ora da dire.
Sereni, però. A martoriarli ci pensò la figura sulle
mie spalle, che nell'occasione, ricordo, riuscì anche a ferirmi
leggermente ad una guancia.
(dissolvenza)
Nadja ha ancora i capelli bagnati di sudore dopo aver fatto l'amore.
nuda, seduta sul divano, i lineamenti del volto arrossati.
(... la bambina di anni fa era spesso arrossata dopo aver corso in
bicicletta...)
sfoglia un album di foto. sospira, come oppressa. sorride.
(...e sorrideva di'un sorriso sconosciuto alla donna di oggi...).
i suoi occhi sono lontani. sfoglia le vecchie foto, le prende una
per una, le guarda, ne riconosce il tema, i luoghi, le lascia cadere
come foglie.
(...perchè sapeva che sudare fa male, ma era bello lo stesso...)
un pesante tappeto di foglie-fotografie, alito di vento dell'imbrunire.
- ti piaccio qui? ero molto diversa?
(... come aprire un vecchio libro di favole, conosciute quasi a memoria,
ma non per questo meno amate...)
(dissolvenza)
buio. tonfi ovattati. CRACK! rumore di osso spezzato. poi ancora tonfi
poi improvviso
-AHHHIH!!! CRISTO SANTO!!!
- CHE SUCCEDE?
fa Nadja. Milan è accovacciato per terra. si comprime il piede
destro. serra
spasmodicamente le labbra.
- cosa hai fatto? cosa hai fatto?
nessuna risposta.
- fammi vedere, cosa succede?
Nadja al buio si china su Milan. gli sposta le mani che serrano ancora
il piede. fiotti di
liquido tiepido e appicicoso.
- ODDIO!
Nadja si toglie la T-short e l'usa come laccio emostatico per frenare
il sangue.
- te lo dicevo che quello, oltre ad essere un birbante, è una
testa dura. mi sono dato
un'accettata sul piede, mi sono dato.
- vieni, vieni via.
Nadja sorregge Milan. escono dalla casa, avvolti nell'oscurità
azzurrina della notte.
lunghe vie deserte. dopo un po' Milan si ferma.
- senti? sono sirene.
- dai, dai vieni via. HAI CAPITO? CAMMINA VIENI VIA.
Milan le sorride, ma non si muove.
- così non è più divertente.
Nadja lo abbraccia.
- mi sa che alla macchina non ci arriviamo mica.
Nadja lo stringe a sè.
- dai, dai.
- senti, non mi sento più la gamba. non ce la faccio a camminare,
presto ci prendono
mi sa.
-ti aiuto.
- no. questa strada finisce qui. questa strada non ha più cuore.
tutto è diventato così
reale....
- è vero fa Nadja
- .... forse non avremmo mai dovuto uscire dalla nostra stanza
- .... tutto è così brutto fuori.
in silenzio è comparso un vecchio, non si sa da dove, ha una
fisarmonica. Nadja e
Milan lo guardano. il vecchio inizia a suonare un mambo. Nadja scoppia
a ridere.
Milan scoppia a ridere.
- un giorno mi dicesti che saresti potuto sparire se io l'avessi pensato
fa Nadja seria.
- si mi ricordo.
- sei stato importante per me e lo sei anche ora
- anche tu.
lo bacia su una guancia. si leva le scarpe. tutt'intorno cuoricini
piangenti che si
abbracciano e si disperano. da un lato due asce insanguinate. Milan
la guarda
camminare, da dietro. guarda l'oscillare del suo sedere, accentuato
dall'essere scalza,
ma non ostentato. la sua schiena nuda, l'oscillare delle sue anche.
i suoi capelli tagliati
alla maschietto. i cuoricini in fila indiana e le note del mambo l'accompagnano
nella
larga strada deserta.
Nell'amore, nel desiderio, si ha non solo la estrinsecazione dell'ignoto,
ma anche dell'inimmaginabile.
Non la nudità dell'amata, anche se talora desiderata (spesso
si ricorda la lenta pesantezza della caduta dell'ultimo velo), nè
il piacere sessuale, effimero premio, può soddisfare una tale
sete. Si va oltre. Nella leggerezza della perdita di se stessi nel
battito di ciglio dell' 'altro' si sprofonda nella Qualità.
Ci si impadronisce, anche fosse solo per un attimo, del mondo.