Il battitore
libero: riflessioni stocastiche su alcuni artisti/nonartisti contemporanei
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Maglie
di un autore geniale sulla metafisica e sul nulla, un nulla introiettato e
bruciante.
Senza
che il dogma, o il mero, evidente postulato, possa soddisfarlo mai, umile suo
strumento per comunicare ad ampio spettro, raggio, e basta.
Considerazioni
sull’universo, la sua composizione, ciò che appare o si dilegua senza pietà,
mai celando le domande brune ed elettriche che si sodano serpentine passando in
voltaggi abissali sull’auctor per cedere ad un corpo conduttore che egli vede
in noi.
Le
domande si infittiscono, qualche ipotesi, idee, mobile quiete sui concetti
usitati. E scompare per sempre la fidatezza di un reale che si dà solo e soltanto
come rapida, fuggevole, baluginante contingenza.
Come
se un canto lasciasse se stesso in una folle turbinosa “asparizione” che non
cessa mai. SDS.
Hardy, Cantor, Ramanujan
la matematica, la pazzia, la
giovinezza, il genio...
"Per
fare matematica un matematico non deve essere troppo vecchio. La matematica è
un esercizio creativo e non contemplativo, e nessuno ne può trarre grande
consolazione quando ha perduto il potere o il desiderio di creare; e questo, a
un matematico, è facile che accada molto presto."
G.H. Hardy
La mia
versione è che questo accada in ogni arte, supposto e concesso che le scienze - quando si
ricerca, si scopre, s'inventa - siano di fatto arti anch'esse.
E la matematica è
la regina delle arti, la più astratta, la più difficile, la più rigorosa.
Come un "picasso"
non si può dipingere ma lo si può capire, allora perché la maggior parte di noi
è disposta a fare a meno della gioia di contemplare un teorema matematico? Perché
si pensa di poter "comprendere" una sinfonia e non la teoria della relatività
(che, a livello di "conoscenza popolare" per lo meno, è la teoria fisico-matematico-filosofica
per eccellenza)? E per riprendere la citazione iniziale, se nessuno pretende un
record del mondo da un atleta che abbia superato i quaranta, perché allora le
università sono piene di "vecchi"? Quali teoremi possono scoprire
ancora, quali leggi rivelare? Se anche la maggior parte non fosse lì per motivi
puramente materiali, è certo che le paure e i vincoli di cui son diventati
lentamente schiavi paralizzano chi dovrebbe invece esser libero.
Quando Hardy
scrisse la frase riportata in apertura dell'articolo era già vecchio, ma la saggezza
(che qualcuno ha definito un pettine per calvi) e la sua onestà intellettuale
gli permisero di riconoscere la verità. Poco conta se, come molti matematici -
e molti "artisti" -, quando divenne vecchio cadde in depressione e
tentò anche il suicidio (riuscendo solo a rimaner cieco da un occhio): ciò non
rende meno vere le sue parole.
Scrive a questo
proposito, parlando di Cantor, David Foster Wallace: "I
casi di grandi matematici con problemi mentali hanno un'enorme risonanza per
gli scrittori e i cinematografari pop moderni. La cosa ha a che fare per lo più
con i pregiudizi e le idiosincrasie degli stessi scrittori/cinematografari, che
a loro volta dipendono da quello che potremmo definire come un modello archetipico
specifico della nostra era. E naturalmente questi modelli cambiano nel corso
del tempo. Il Matematico Malato di Mente sembra essere oggi ciò che in altre
epoche sono stati il Cavaliere Errante, il Santo Penitente, l'Artista
Tormentato o lo Scienziato Pazzo: una specie di Prometeo, colui che va nei
luoghi proibiti e ne fa ritorno con doni che noi tutti utilizziamo ma dei quali
solo lui paga il prezzo [e per primo coglie la
bellezza]. Probabilmente si tratta di
un'esagerazione, quantomeno nella maggior parte dei casi. Ma Cantor si avvicina
al modello più di molti altri. [...] Per una quarta di copertina suona molto
meglio parlare del Genio Reso Folle dal Tentativo di Comprendere l'Infinito. La
verità è però che il lavoro di Cantor e il suo contesto sono tanto interessanti
e belli che non vi è alcun bisogno di prometeizzare a ogni costo la vita di
quel pover'uomo, [che soffriva di disturbi maniaco-depressivi in un'epoca in
cui nessuno ne conosceva l'esistenza]. [...] La vera ironia sta nel fatto che
il lavoro di Cantor ha sovvertito proprio l'idea dell'Infinito come zona
proibita o strada verso la follia (in'idea antichissima e potente che ha
perseguitato la matematica per + di 2000 anni). Dire che l'Infinito ha fatto
impazzire Cantor è un po' come piangere la sconfitta di San Giorgio nella lotta
contro il drago: non è solo sbagliato ma anche insultante".
DFW sembra dare
credito all'ipotesi che sia l'astrazione a permettere ai matematici la massima
creatività e che chi ne ha il dono abbia forse, come un effetto collaterale, un
rischio maggiorato di "impazzire" o cadere in depressione, tentare il
suicidio ecc... Io credo che abbia
ragione e che non si debba confondere l'effetto (fare
matematica, o arte, grazie a doti di astrazione e grande creatività) con una
delle cause (l'astrazione, appunto) che, probabilmente assieme ad altri
fattori di vita, rende quella dei matematici una "categoria a
rischio" più di quella dei portieri d'albergo, statisticamente parlando.
Ma quanta gioia dev'essere
nella scoperta matematica, che l'astrazione rende possibile! Con fierezza Hardy
scrive, nella sua autobiografia "Apologia di un
matematico": "[...] ancor oggi, nei
momenti di depressione, quando sono costretto ad ascoltare della gente pedante
e presuntuosa, mi dico: 'Beh, io ho fatto, [quand'ero
giovane], una cosa che voi non sareste mai
stati capaci di fare: ho collaborato con Littlewood e Ramanujan quasi su un
piano di parità.'"
Anche Ramanujan,
uno dei più grandi e atipici matematici che la storia ricordi, paragonato
spesso in grandezza ad Eulero e Gauss, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX
secolo, ha prodotto tutto il suo sapere in giovane età, visto che morì per
un'infezione intestinale all'età di 33 anni. Egli, privo di preparazione
formale, aveva, più di ogni altro, un misteriosissimo "metodo"
matematico. Questo lo ha portato a produrre, senza apparente dimostrazione, una
quantità copiosissima di lavori matematici, che ancor oggi producono stupore.
Diceva che aveva delle illuminazioni improvvise e le idee gli venivano portate
in sogno dalla dea Namagiri. Ma questo non lo portò certo alla pazzia, anche se
non esiste riprova di cosa sarebbe successo se fosse vissuto abbastanza.
Del lavoro
compiuto nel suo ultimo anno di vita, il 1920, dice di lui Richard Askey:
"Il lavoro di quell'unico anno mentre stava
morendo, (tra grandi sofferenze fisiche per la maggior parte del tempo), fu l'equivalente
di una vita intera di lavoro di un grandissimo matematico. Quello che portò a
termine fu incredibile. Se scritto in un romanzo, nessuno lo crederebbe."
Ramanujan,
isolato dal resto del mondo matematico per grande parte della sua vita
professionale, era praticamente un'autodidatta e fu anche grazie a questa sua estrema
libertà, oltreché al suo genio, grazie a questa mancanza di vincoli, questa
assenza di paura rispetto al problema che affrontava, a farlo così anarchico
nei metodi e render possibile quello che sarebbe stato negato ad altri. Secondo me egli possedeva di fatto due giovinezze:
quella anagrafica e quella "storico-professionale"; e se questa
seconda non sempre è un bene per uno scienziato, - che monta sulle spalle
dei giganti che lo hanno preceduto, come ebbe a dire Newton, per vedere oltre e
costruire le proprie teorie -, certo lo è quasi sempre per un'artista!
NB: Chiaramente
la giovinezza non è sempre un dato prettamente anagrafico (qualche
matematico molto prolifico e originale anche da "vecchio" c'è: Erdős,
per esempio... Ma provate un po' a leggervi che tipo era!)
PS: quanto sono più belli e intelligenti - quasi sempre -, oltrechè
più pertinenti a quanto effettivamente scritto, i titoli originali dei libri! Ma chi si permette
di riscriverli?
E, soprattutto: perchè???
Letture:
- Marcus De Sautoy, "L'enigma dei numeri primi - L'ipotesi di Riemann, il
più grande mistero della matematica", Rizzoli, Milano 2005
[tit. or. "The music of the Primes"]
- David Foster Wallace, "Tutto, e di più - Storia compatta
dell'infinito", Codice edizioni, Torino 2005
[tit. or. "Everything and More - A Compact History of Infinity"]
- George Gheverghese Joseph, "C'era una volta un numero - La vera storia
della matematica", il Saggiatore-NET, Milano 2003
[tit. or. "The
Crest of the Peacock - Non-European Roots of Mathematics"]
GM.
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