scarica il testo
Clicca qui per stampare o seleziona File-Stampa dal browser

segue da Cinema


Ribelli Per Caso

di Vincenzo Terraciano, con Antonio Catania, Giovanni Esposito, Franco Javarone

In una stanza d'ospedale, a Napoli, cinque uomini sono costretti alla convivenza pur se ricoverati per cause differenti. Sono un insegnante, un fruttivendolo, un impiegato, un vinaio ed il dipendente di una banca. Persone che conducono esistenze diverse, riuniti in questo surreale teatro di medici e pazienti in attesa di essere visitati. Ad accomunarli è una partecipe preoccupazione per il cibo dell'ospedale, sciapo e nauseante. Decidono, d'un tratto, di ribellarsi ai carcerieri in camice bianco e contrastare questo iniquo regime alimentare, organizzando una cena segreta. 

 

 

[Questo dunque ciò che di ufficiale abbiamo trovato sul film, adesso una nostra modestissima panoramica che si appunta su alcuni dettagli].

 

 

 

Nota critica di Simonetta Della Scala

 

Il film, di palesata denuncia sociale-sanitaria, tipizza i caratteri dei protagonisti con armonia sottile, tanto da permettere l’identificazione senza avvertire un eccesso di trucco scenico. Le mobili inquadrature in realtà, catalizzate principalmente su un piccolo fazzoletto d’ospedale, non incentrano il loro occhio solo  sulla sensibilità  interiore e sull’inevitabile dialogo, ripiegamento,  dei malati, ma il fruitore equamente si destreggia in un campo visivo tra filigrana psichica, intima, e movimento d’azione.

Spiccano tra i degenti della comune stanza presa in esame, il sensibile professore ed il protagonista avvocato che, ridotti entrambi, come qualsiasi malato, a semplici corpi alla mercè di un meccanismo totalmente kafkiano, esteriorizzano, silenzi, e piccole gemme del complesso turbinio interno  che li attraversa.

Il film volge verso un momento culminante quello della ribellione incarnata in una cena saporita di contro alle ferree leggi del reparto che vorrebbero ogni degente  quieto e falsamente lobotomizzato al soldo e sotto l’autorità del primario incosciente che non rivela loro né gli esiti degli esami, dunque la pericolosità di azioni possibili, né un tempo d’uscita dal tunnel ospedaliero.

Quest’ultimo comportamento disumano, induce lo scatto di una molla tutta vitalistica ed eversiva che porterà poi al povero ma saporito banchetto di così travolgente impatto passionale e perturbante lo status quo.

Ed è proprio al momento in cui dopo un’attenta e calibrata realizzazione del medesimo allestimento accuratissimo e sincronizzato del pasto,  che i pazienti divengono ribelli in quanto dediti ad un piacere, ad una convivialità ed una “vita” estranea e neanche pensabile per dei degenti.

Ritengo che l’eversione sia proprio la libertà di pensiero, il mantenere viglile la capacità critica, la dignità, il gusto per la vita, il fluire immaginativo, il riconoscere ancora, ovunque, delle potenzialità di molecole in turbine effervescente, nonostante, sì nonostante tutto e sempre. Ed è questo il vero, sincero, profondo volto del film.

I malati oggetttivamente, al termine sapremo, che sono tutti molto gravi, ma la chiassosa, dolce e tramata speme che fluisce morbida tra essi come commensali, con confidenze, racconti del passato, un po’ di coda dell’occhio ad un futuro sognato (anche se consapevolmente non creduto fino alla polpa, al midollo di realtà), restituisce con una forza totalizzante ed intera le sembianza di una vita bellissima, quella fatta dalle cose lineari e genuine, semplici, che il corpo solo sa apprezzare fino al limite supremo. Un po’ di vino, del maiale, la pasta con un sughetto al pomodoro; cosa fa di una vita la vita che riusciamo a continuare, oltre gli affetti? La rende tale la consapevolezza affatto scontata del riappropriarsi di un corpo e di un’anima, della solidarietà, fratellanza, amicizia, mutuo e involontario desiderio di aiuto fra erranti.

L’ospedale per tutti noi e per loro insieme è il contatto con quell’umanità vera che l’alienazione nasconde.

E’ il piacere di una doccia, di una mattina, del sole, del cibo, del corpo – noi siamo un corpo alla fine dei giochi, anche se pochi lo ricordano, con il dovuto rispetto verso di esso – il piacere della condivisione intensa dello spirito come viatico di un’anima che comunque, chiunque tu sia stato fuori, è ora scevra dalle sovrastrutture e insieme impressa in un labirintico non-sense di corridoi e lattice odoroso, che atterrisce, e per sopportare la quale hai bisogno dei “fratelli” che vivono la stessa foltissima nebbia insieme a te; e dunque allorché ci si presenta di fronte come spettro solido, muta o forse no, l’autoscoscienza, capace di un linguaggio sereno come non mai perché riappropriatasi di un sé a lungo disperso.

E dunque ballare, con un’allegra musica che intona un mambo, ballare, tutti nella invisibile catena d’affetto fra uomini che lega e trascina alla disinibizione.

Rivalsa contro il primario burocrate senz’anima si dà in una richiesta al commissario – pervenuto per cercare una soluzione ad un pasto sì vitalistico all’apparenza, ma molto pericoloso intrinsecamente per quei malati che non sanno per cosa siano trattenuti nella sanità – richiesta, in cambio dell’ aprire la porta,  barricati come sono, nella camera del banchetto,  e di ristabilire un mutato forse, ma sempre apparente status quo,  è quella, di una bella colonscopia al direttore medico del reparto, al carnefice bianco, senza lame o coltelli? No, senza alcun cuore che batte e dunque con lame, “lunghi coltelli” …. Una modesta rivalsa dunque di sofferenza e umiliazione inferta e ora restituita, all’esimio colpevole di un dolore aggiunto, quello di essere non più corpo, anima, un mondo – come heideggherianamente lo è, nella contingenza, ogni creatura – ma un numero per statistiche o per raggiungere una significativa futura poltrona da Primario Ufficiale.

Molto umana la caratterizzazione del commissario, perfettamente al pari della plastica sensoriale, della pietas dei ribelli per caso.

La porta sia apre, il commissario non si risparmia nel buttare giù a martellate il muro contiguo.

E dunque il mambo finale, nell’acida realtà dell’imperante, grave e dissimile,  malattia che serpeggia sui conosciuti e cari pazienti, crea un ponte forse, ci piace pensare, infinito, tra la cura e la dignità.

SDS.

 

 

Segnalazioni Film

 

Segnaliamo un film d’annata trasmesso da Rai Tre, nella notte tra il 19 ed il 20 marzo, come bagaglio imperdibile della vostra cineteca e filmografia interiore, splendido e complesso, con molti richiami al surrealismo e alla più spietata, finissima indagine interiore:

(potete, credo reperirne una copia in videocassetta da acquistare tramite internet)

Regia Elia Kazan, USA, 1969

“Il Compromesso (The Arrangement)

Con: Kirk Douglas, Faye Dunaway, Deborah Kerr.  

SDS.


Indietro
Pagina 2 di 2