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Editoriale







E la vidi di un bruno impenetrabile, sulla barella convulsa.

Fitta di seno disfatto, pulsante e granitico.

Potevo crederla sabbia di Cronos, molecole del suo nulla che si presentificavano, raggrumavano, per urlare quanto di materico contenesse la buccia di un’anima.

E quanto fosse ganglio, sete, filamenti, prostrazione, il viso veloce di quell’essenza di iuta.

Restavamo senza labbra né falangi per strappar via dal vuoto l’arcana placenta, ed essere in lei, solo lei.

Entrano calchi sulla morbida traccia del midollo. Come spettri dalle cifre furtive.

Si è incisa la maglia di sinapsi e il voltaggio è dentro, senza uscita.

E presto, troppo presto, suoni all’oriente della razionalità: mantra vertigine e globulare.

L’aspide antèra, sugli stami silenti, nel buio.

Sapevi uno zenzero magico, la tua forza misterica.

E ci cibasti dell’assenza, del tuo letto, del respiro modulato dal mantice, frangesti ogni nostra, tua, violenta lacrima su quella teca, come una schietta tempesta.

E vibrarono ad infinito “le nozze adrenali”.

I bulbi rastremano cartilagini sotto la mente, dove nessuno cessa mai, di esistere.

E si comprima la fessura sul derma livido, s’apra di ossigeno e perdizione.

…Portano il cratere, forse sanno che i veli di colla non dormono mai su questo soma, forse, li vogliono rendere liquidi, disciolti, dalle monadi profonde e corvino che li hanno orditi.

E quando di alloro saprà la tua bocca,

quando trarrai di uncino dalle labbra in me,

mi vestirò di torcia

per cessare, un attimo, solo un attimo, di carezzarti. (dall’Editoriale n6)

Agitavano scabre il vento, le imposte contro le grate.

Ed ogni ipotesi si dislocava alla prossimità massima del suo opposto.

Dovevo essere quel corpo, quel solo unico corpo.

E dovevo tornare e lacerarti avversa, pur conscia che non c’è MAI soluzione.

E ancora, la ghiaia dal mulino chiassoso della loro clessidra, mentre riuscivano riuscivano a ridere e schernirsi, come dottrine in deficit di sentenza. E la dizione invece sferzava il rigurgito, saldando anelli afoni senza turnazione.

Non te ne andare. Resta su questa calce delle lenzuola, sulle fessure dalle mie labbra, sulla notte sfrenata che ho di nuovo in sorte.

SDS.



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