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Letterature di frontiera





Questa Rubrica nasce dalla sensibile ed infinitamente preziosa collaborazione con la rivista (web e cartacea) Paginazero. La mia incondizionata stima per l’elevatissimo stile, la palesata erudita cultura, e gli imperdibili, sovente coraggiosi, argomenti trattati  (letteratura senz’altri termini a tutto tondo, sociale, specialistica, raffinata e cosmopolita) a Mauro Daltin e Paolo Fichera. SDS.

 

 

Tratto dal n°8 della pregiata Rivista Letteraria web e cartacea Paginazero

 

 

Non serve essere in tanti per avere ragione

Editoriale di Mauro Daltin – PaginaZero n°8.

 

 

Nel dicembre del 1989, il concetto di minoranza appariva nel rapporto generale presentato da Jacques Berque al Consiglio d’Europa nel corso della conferenza di Strasburgo. Questo nuovo termine adottato dalle Nazioni Unite, con voto dell’Assemblea Nazionale del 18 dicembre 1992 ha la seguente formula che permette di definire gli ambiti generali: “dei diritti e delle persone appartenenti a delle minoranze nazionali o etniche, religiose o linguistiche, di godere della propria cultura, di professare, di praticare la loro religione, di utilizzare la loro lingua in privato o in pubblico, di partecipare alle decisioni che li riguardano, di creare e gestire le loro associazioni”.

Ottimo, peccato il ritardo. E peccato che ci debba essere una entità sovranazionale che debba permettere questi concetti minimi di libertà e, invece, una vera autodeterminazione non possa provenire dai popoli stessi e dalla normale convivenza fra le persone.

Il concetto di minoranza è pieno di suggestioni, strade che si intersecano, accezioni che nascono e che si dipanano nei più svariati significati, interpretazioni manipolate o manipolabili, strumentalizzazioni culturali e politiche.

Nel suo significato più elementare minoranza ha a che fare con un parametro numerico: la mia volontà, i miei progetti, le mie idee, il mio ruolo e modo di essere e vivere, non sono maggioritari nella società in cui opero, anche se questo domani potrebbe trasformarsi nel contrario. In questo senso il concetto di minoranza non caratterizza le qualità intrinseche di un gruppo, ma le può caratterizzare in maniera temporanea e transitoria.

Al contrario, se si considerano specificità, caratteristiche particolari come la lingua, la religione, l’opinione politica, l’appartenenza a una determinata area geografica, allora il termine minoranza può essere fuorviante, perché consciamente o inconsciamente si fa strada la sensazione di qualcosa di carente, di non nominabile, di non comune, come se fosse più presentabile e accettabile essere come gli altri e non difforme dagli altri. Lentamente e subdolamente minoranza acquista i connotati di anormalità.

Per parlare e definire qualsiasi concetto di minoranza (linguistica, religiosa, ideologica eccetera) bisogna sempre utilizzare i parametri del dove e del quando. Ad esempio in Italia nell'Impero romano chi parlava ostrogoto era una minoranza rispetto a chi parlava latino; adesso il latino non lo parla più nessuno e i latinofoni sono una minoranza.

Un altro aspetto fondamentale si ha quando il termine minoranza acquista l'accezione di anomalia, il che vorrebbe dire che appartenere ad una minoranza dovrebbe tendere a scaricare le qualità tipiche della minoranza ed omologarsi alla maggioranza. Questa è una singolare sensazione se si parla di società polimorfa, pluralista, in movimento, in dialogo… La maggioranza tende automaticamente a considerarsi la caratteristica “normale” di questa società in questa fase storica e quindi considera in termine quasi psichiatrico un deviante o chiunque non appartenga a questa maggioranza. Questo concetto rende difficile il dialogo perché esso è reso possibile grazie all'anomalia, che ci permette di andare a fondo e capire meglio la minoranza e la maggioranza. La prima è portatrice di istanze, esigenze, necessità che altrimenti non verrebbero poste in questione dalla seconda.

Le zone di confine, dove la gente si riconosce almeno con due lingue, aprono una finestra da entrambe le parti, con due lingue e culture diverse: questo arricchisce, non impoverisce o imbastardisce e ognuno è composto da più di un motivo di identità culturale. Ma le zone di confine sono anche aree di molti attriti, di intolleranze, a volte di razzismi. Durante il regime fascista gli sloveni non potevano parlare la loro lingua e moltissimi nomi e cognomi sono stati italianizzati; sono state bruciate le case della cultura slovene, le case editrici, i giornali sloveni non potevano diffondere la propria lingua e cultura. Sono, in sostanza, divenuta minoranza e quindi anomalia nei confronti dei dettami generali del regime che si impegnava a sopprimere qualsiasi tipo di devianza.

Ci sono poi moltissime minoranze nascoste, non riconosciute. Basti pensare ai Rom, ai pregiudizi e alle intolleranze che subiscono tutt’ora in quanto slegati da ogni tipo di maggioranza e quasi considerati deviati in quanto la loro cultura prevede questo isolamento. Ci nascondiamo di fronte a un “Loro sono così, è nella loro natura vivere così”. Ma non consideriamo l’ignoranza, le vecchie tradizioni, la povertà, gli esilii. Non facciamo un passo in avanti per sapere chi sono e che cosa vogliono.

Affrontiamo il concetto di minoranza in termini generali, senza volerne dare una visione completa; si parla di Albania, Kosovo, minoranze slovene, Rom, lingue meticce e così via. Perché questa scelta? Credo che l’unico modo possibile per riconoscere le minoranze in modo positivo sia quello di conoscere le loro culture, le loro letterature, il loro modo di pensare e vivere, il loro contesto storico e politico, la loro memoria.

E poi chi appartiene alla maggioranza deve sapere che la ruota della storia gira, e prima o poi si può diventare minoranza. Se si conosce e si dialoga adesso, forse non avremmo paura delle maggioranze future. 

MD.


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