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segue da Poesia



Intervista


Poesia pag. 14 “lei” è presente dunque c’è un’intrinseca ed esteriorizzata positività dei suoi oggetti che parlano, urlano, tale esserci in una qualunque mattina accanto a lui.

Il letto è considerato come un punto privilegiato di osservazione e di gestione finalmente libera di quei vestiti che le appartengono e che un poco sformati da esperimenti ludici del compagno regalano pace e controllo finalmente esclusivo su quel corpo tanto desiderato.

Nella quinta strofa si palesa come lui ambirebbe a chiudere dentro di sé tutto ciò che lei è, per non lasciarla andare mai anche se detto con un linguaggio oggettivabile.”Diversamente da ieri ora ti rivesti” come se ogni gesto della donna fosse sempre fragrante di novità.

Ma la sera con la cancellazione sostanziale che reca in sé, lascia che lei “si dilegui” anche se uno sguardo continua a renderla viva dov’era, continua ad accompagnarla anche fuori nel suo buio di lontananza.

E gli abiti prima sfiorati, gremiti, desiderati formano un bellissimo controaltare con i cenci di lui, che egli rappresenta come privi di forma, valore e consistenza.

Andiamo incontro al testo a pagina 15 con una piccola chiosa, questo libro seducente e luminoso, pieno di innamorati ed eleganti contrasti, possiede come prerogativa, un ampio respiro, i versi sono lunghi come abbiamo fatto notare,  benché mai prosaici ma talvolta prosastici, le poesie stesse sembrano non avere abbastanza spazio per espandersi ed il sentire si snoda pertanto in estese cangianti realizzazioni.

La poesia dunque ci fornisce note precise di un esterno delicato vivaio che come ormai siamo soliti attenderci appunto, prelude nello sferzare di un vento molestatore di oleandro e varie piante, alla Vera attesa che si presentifica fitta nel cuore del poeta. Subito dopo c’è una tenera descrizione di un silenzio cercato tra i due amanti attraverso garbate movenze delle dita sulle labbra, forse per non rompere in alcun modo l’incanto.

E  i seguito con una bruna malinconia data dall’irreatà materiale di ciò che sia afferma, lui dice che sarà sempre accanto a lei ovunque, anche senza la minima cognizione logica di dove lei effettivamente, corporalmente sarà.

Ma immancabili si affollano le “insicurezze” (v.17). Imperdibile la perifrasi: “la terza ombra che l’attesa di te/ procura al mio corpo” come un’asparizione revers, un’ attesa appunto,  che è già carica di presenza, mobile fiducia. Si arriva poi alla quarta strofa in cui lui vorrebbe inoculare la poesia di Gozzano nella percezione di lei, ma non come un semplice ascolto ma perché lei riesca attraverso quelle parole ad entrare dentro di lui nel momento in cui sono pronunciate, si sente forte e cristallina questa aspirazione dell’io.

Con la consapevolezza dura, ferrea, greve, amara, dell’ineliminabile lontananza talvolta dalla persona amata si chiude anche questo testo vivido di asparizione.

Ipotizziamo a questo punto che la ricerca insaziabile di Pier in questo pregiato testo, e tutto il densissimo senso che possiedono le asparizioni mattutine e serali, indichino, in realtà, quella richiesta di incontro profondo, che ogni essere umano reca dentro,  richiesta di fusione, per la quale davvero non servono parole, e seriamente non c’è modo di andarsene l’uno dall’altra, di staccarsi, perché quel momento, quella realtà, non comprende in sé l’abbandono dei due esseri che la creano.

Per questo l’ultimo verso recita: “l’infanzia e l’assenza non hanno più nulla da dire”.

Siamo cioè, in un’altra dimensione qualitativamente molto dissimile da ogni cosa che non lo sia.

Delle poesie successive, poiché i concetti fondanti li abbiamo analizzati, e nell’umiltà della mia nota critica, rischierei solo di ripetermi, scelgo per mio unico gusto: “Arceodossi…” (p.19), “Promemoria… (p.31), “Dietro  la tenda” (p.32) “Di donna..” (p.34) “la finestra..” (p.38) “Breve e pacata ipotesi d’autunno:/sul sapere e sugli amori possibili” – ultimo testo – (p.45).

Ma partiamo con il testo a p.19: esso si inizia con una parentesi come si volesse pronunciare qualcosa in sottotono, qualcosa che in realtà grida dentro.

L’auctor si domanda se una lettura erronea, che possiamo interpretare come una divagazione dal pensiero fisso e monocromo di lei, potrà compromettere il suo assoluto.

Il richiamo al ventre ci inonda di un arcano adesso svelato, di una profondità emotiva sottesa alla relazione, alle domande, alla solitudine.

La coppia vorrebbe un’intimità forse impossibile nel mondo degli umani che si frequentano, e l’elemento maschile, sempre incordato in un’insicurezza semi-paralizzante, e costantemente preso dalla, per me più che comprensibile, sete infinita di contatto, non si arrende alla socialità imposta (le feste etc..).

Ed il viaggio per raggiungere una supposta casa familiare, si fa “ bocca di bacche rosse” espressione di naturale, raffinata sensualità; ed anche se è tardi qualcosa attende fra l’io ed il tu di essere ancora detto, pena mi figuro, una salata, midollare insoddisfazione.

La poesia si conclude con il bellissimo verso distaccato dal resto del testo: “guido piano” come per contenere in un sintagma la magia del non detto, di quella sete che sa sempre di inappagato e allo stesso tempo vorace anche nella pacatezza dell’espressione manifesta.

La poesia “(Promemoria sul nostro metodo di lettura)” ordisce una trama che ci fa immaginare una lettura come scandaglio sull’essente.

Ed è una strana proteiforme poesia d’amore.

I primi due versi postulano come gli amori si nutrano in fondo degli stessi elementi fino ad un certo livello. Come se si dicesse che è discriminante il punto fino al quale ciascuno permette la penetrazione dell’altro, il punto in cui ciascuno mostra nervi e midollo oppure non lo fa.

E quando non lo fa – quinta strofa – si rende null’altro che “una commedia che manda a memoria le battute”. Non so se in questo strano testo, l’autore voglia come prendersi una sospensione dalle sue indagini interiori, e dal suo mettersi a nudo, non so se voglia fingere di essere un amante qualunque che vede una donna come una fragolina attraente e basta. La finzione però non regge.

Ed alla fine le pagine di libri che si mischiano per loro, per forgiare all’esterno un’identità multipla di coppia, ritorna a parlarci del complesso tramato “di un tu[io] quasi noi”.

Nella poesia successiva si narra di un ambiente marino. Un’ ambita perdita della cognizione del tempo ci apre il novello territorio tra le sabbie. Ma compaiono i conosciuti simulacri: il giardino fitto di sguardi, l’attesa, e finalmente non una lei/ un lui, ma finalmente il NOI.

Vi segnalo lo stilisticamente preziosissimo ed infinitamente evocativo verso 10 che vi cito per intero: “il davanzale che spettina l’ingresso spiove di gerani”.

Però c’è sempre la difficoltà di comunicazione che balena “il dire smarrito tra noi”, la potenziale perdita di lei: “ci perdemmo un istante, di vista, o forse solo di mano” ad indicare una forza trascinante nel voler stare uniti come quasi solo il sentimento totale di un bambino che ha la sensazione di aver perso la sua mamma, il suo mondo. E lei in fondo cos’è se non il mondo totale di lui?

Gli oggetti la incarnano e si muovono al suo passaggio.

In conclusione v.22 si accenna ad “un solo viso” lasciando l’aperta domanda se esso sia veramente un singolo elemento o la fusione di due…

Il testo a p.34 “Donna in stanza” è un canto dolcissimo sulla sensorialità della fusione finalmente ottenuta nella sua pienezza, e su contrastanti visioni del tempo.

Ma procediamo: l’incipit pare reimmeterci nell’ansia a noi ben nota, anche se il primo verso descrive un’ombra che cade serena sui piedi di lei e ci fa supporre una pausa dal resto. E’ qui che si inizia la disamina sul tempo, come nella poesia precedente si ipotizza un volontario annebbiamento del tempo della fisica “gli oggetti ti esclamano priva di età”.

Proviamo allora a supporre che l’auctor si trovi in una dimensione diversa, alla Bergson in cui i momenti si dilatano o restringono secondo altre leggi, quelle della sua interiorità, che li sente fino alle ossa più rigide, e ne viene trasportato con la sua compagna. Ma tutto ciò è contraddetto dal verso 8 in cui vi è la prima menzione di un passato concreto fatto di esperienze sentimentali pregresse.

Dunque concludiamo che nonostante i nostri concetti, di ineludibilie perdita del sensoriale da parte dell’io e della dimensione del tempo umano della fisica, ed anche di una punta di viaggio alla Bergson, quello a cui mira e mirerà sempre, almeno in questo testo, Pier, è l’annullamento totale del tempo di qualunque cronologia si parli. Gli oggetti dell’abitazione non sono che orpelli fastidiosi per il muoversi di questa lei qui creatura semi-divina, quasi immateriale.

Ciò che è materico, sembrerà un ossimoro, è la felicità di questo errante che dal verso 22 al verso 27 descrive un’immagine di fusione sensoriale, sensuale, fine ed aerea, grande momento, a mio parere,  di poesia pura e di sensibilità straordinaria di un uomo.

Sul finire del testo si postula e ricerca il silenzio perché, credo, la voce può solo riportare gli amanti sulla terra che tanto hanno faticato per sospendere,  e dove non vogliono tornare finché il loro mondo potrà sostenerli senza.

Sul testo a pag. 38 (“la finestra che dà sui tuoi fianchi, è/ di mare, di collina, di periferia) direi che il titolo è portatore di un fascino che l’auctor sente scivolar via, anche sottilmente, ma secondo me, il suo palesare con il sintagma “ amore mio” la fase del suo rapporto non gli compete, se non come manifestazione di un qualcosa non più tanto intimo da doverlo stringere a sé.

Molto d’impatto e per me molto e molto bello il verso “ricordami così, come un’annata di fianchi scoscesi” (v.5). In fondo i fianchi custodiscono le parti più vitali dell’essere umano, dunque, parlarne è un ricordare di quando ci si è messi a nudo con la passione e con la mente.

(v.11) Ancora fuga da una realtà comunque non accettata, come non accettata è l’ineluttabilità, anche adesso, dell’allontanamento di lei, conosciuto e subìto ma non tollerato nel suo centro propulsore di “profezia abituale” (v.4).

Due volte un verso viene proferito, proprio secondo me, perché allontanatosi dall’incombenza sull’io: “la pagina degli sguardi è in tutt’altro luogo, amore mio” (vv1, 23).

Molto interessante l’ultima poesia “Breve e pacata ipotesi d’utunno/sul sapere e sugli amori possibili” (p.45).Il titolo mite nel primo verso si contraddice subito con la curiosità di ricerca su di sé.

Molto suggestive tutte le descrizioni paesaggistiche che hanno bisogno davvero di una lettura attenta per essere “degustate” seriamente.

In sintesi di questo stupendo e mirabile libro di autentica poesia che, per caso, ho avuto il privilegio di leggere e di questo sarò sempre grata nella vita a Pier Maria Galli, e lo dico con la sincerità assoluta di un critico e di una donna, troviamo esposto il concetto a noi caro,  di realtà possibili, che si moltiplicano nella scrittura dell’autore ma non come sogno bensì come concrete supposizioni. E a me piace molto credere che quello che ognuno sta vivendo sia soltanto uno dei volti che la vita gli può conferire. Inoltre vi riporto gli ultimi due lucenti versi: “pensavo ti proponessi come questo mattino d’autunno,/ossia come ci amassimo due volte, per davvero e per gioco”.

Essi racchiudono una visione ludica, disillusione, speranza, possibilità infinite per l’esserci, basta riuscire a sostenere la dura granella della ghiaia che talvolta scorre tagliente sopra i corpi.

Dedico a Pier, anche se temo che non sarà di suo gusto, la canzone di Carlo Fava e Noa “Un discorso in generale” che indipendentemente da tutto, racchiude, a mio giudizio,  un nucleo di alta sensibilità.

SDS.

Per chi volesse mettersi in contatto con Pier Maria Galli per motivi artistici o di reperibilità dei suoi testi può scrivere direttamente all’autore di cui ripetiamo sotto i recapiti

 Email: bifzf18@yahoo.it

Blog: cantiere.splinder.com


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