scarica il testo
Clicca qui per stampare o seleziona File-Stampa dal browser

Suono & Dintorni

di ronda fra musica e terapia





Di cosa posso parlare?
Non saprei. Accidenti! Sono stata presa in contropiede. Non sono preparata. Il mio backgroud resta comunque, ma oggi non sono preparata. Come fare?
Non resta che IMPROVVISARE.
Secoli e secoli di ambiguità nel significato della parola l'hanno caricata di imprecisioni e sfaccettature non ben comprensibili. Mi riservo dal riportare la classica definizione di uno o più dizionari “noti” per non vincolare subito l'idea di chi legge, soprattutto anche perché oggi non si parla solo di suoni.
Proviamo a chiudere gli occhi ed a visualizzare “la tribù” che si riunisce formando un cerchio sacro, primordiale e che canta e suona melodie prestabilite. Il gruppo può anche lasciarsi andare a voli pindarici di improvvisazioni più o meno guidate. Nessun vincolo (o quasi), nessun obbligo. Ogni suono ha la stessa importanza di quelli che lo seguono e lo precedono. E piano piano è come un grande (o piccolo) dialogo d'insieme. Io sento te. Tu senti me. È proprio il caso di dirlo: io sento il tuo io.
Affidarsi infatti all'improvvisazione libera in musica, come credo anche in altre discipline, fa uscire le nostre “interiora” nel modo più diretto ma meno invasivo possibile per noi stessi e nello stesso tempo per chi ci sta di fronte. L'individualità, il marchio di fabbrica l'impronta (osservare: impro-nta, impro-vvisazione) fuoriescono alla luce del sole senza pudori per poi essere apprezzati, accettati, compresi, sviluppati, avviluppati gentilmente nella marea delle individualità generali per poi fare gruppo, fare insieme.
L'individuale non resta isolato nella sua AZIONE IMPROVVISA.
E tutti possono azionarsi improvvisamente. Improvvisare fa conoscere se stessi e tutti lo possono fare proprio perché tutti hanno fantasia e creatività che si palesano in diverse forme. Tutti inoltre hanno qualcosa da dire e la necessità atavica dell'uomo della COMUNICAZIONE.
Basti citare gli stornelli fiorentini, romani o di altre città, ad altissimo contenuto improvvisativo, composti estemporaneamente, per ciò che concerne il testo, nelle osterie, nelle piazze delle città, in posti di ritrovo e di svago, dove la gente cantava il quotidiano permettendosi la licenza di poter dire anche il “non permesso” proprio perché stava stornellando (mai insulti furono più creativi di quelli coniati dagli stornellatori fiorentini).
Qui magari s'intravede, perdonatemi il gioco di parole, “il tema del tema”. La guida, il canovaccio su cui basare l'improvvisazione. Negli stornelli era un tema letterale, magari una proposta che veniva dal pubblico udente, una proposta che poteva scatenare anche un match improvvisativo fra due o più stornellatori (la musica: lo strumento più usato era la chitarra, spesso con una serie di accordi dati che non dovevano certo rubare il primo piano alle parole).
Ed allora perché non parlare di J.L.Moreno, l'inventore dello psicodramma. Infatti egli diede avvio nel 1922 a Vienna allo Stegreiftheater (letteralmente: teatro improvvisato, estemporaneo), in cui gli attori in tempo reale, mettevano in scena pièces improvvisate su temi suggeriti dal pubblico o scelti dagli stessi attori. Moreno stesso ribattezzerà questa forma di improvvisazione teatrale «Impromptu Theatre», dove si rappresenta una forma originale di teatro dell'improvvisazione, cioè di teatro non scritto, in cui «è il pubblico ad avere qualcosa da dire». Gli attori, attraverso tecniche specifiche, sviluppano ed amplificano le storie dei presenti, per poi rimandargliele come in uno specchio. Nessun copione, niente di prestabilito, ogni spettacolo è imprevedibile ed unico.
Per non parlare del teatro balinese che unisce musica, danza e recitazione. Riuscite ad immaginarne una forma improvvisata? Sarebbe senz'altro uno strumento molto potente per improvvisare.
Questo per dire quanto anche il corpo possa improvvisare. Lo strumento degli strumenti, il più sincero fra tutti. quanto parla il corpo. Come parla il corpo. Anche nella musicoterapia si pone attenzione ad i suoi apostrofi, “dettagli” che solo un bravo attore o qualcuno che fa il mio mestiere può in piccola parte mascherare.
Improvvisiamo col corpo anche suonando, sia chi esegue una musica prestabilita sia chi si diverte a crearne una a sua immagine e somiglianza.
Dopotutto le parole vincolano e sono di facile e difficile lettura nello stesso tempo. In alcuni casi però son necessarie: gli stornelli sopra citati, la composizione di canzoni. Molto dice di noi una canzone che abbiamo creato, molto dice la musica, molto dicono le parole.
E perché non citare un genere musicale principe dell'improvvisazione: il jazz. Eppure, mettendo a confronto l'improvvisazione di questa corrente sonora con l'improvvisazione musicoterapica si scopre quanto la prima sia legata come non si è mai pensato. Anche il free jazz, frangia estrema dell'improvvisazione creativa, in confronto ad una seduta terapeutica di azioni improvvise possiede un canovaccio di base ben leggibile. E solo leggendo i vari tipi improvvisativi si scopre di quanto sia difficoltosa un'esperienza totale, scevra da qualsiasi vincolo, specie se in gruppo.
Questo per quanto concerne la musica. Per ritornare alla musicoterapia l'improvvisazione è uno degli strumenti basilari per dialogare (se non il più importante in alcuni casi). La sua lettura comporta l'osservazione di molti parametri, l'individuazione di numerosi markers e molto altro ancora. Ma quello che più importa è che è una pratica “democratica”, stabile dentro noi tutti da secoli e secoli, pronta a palesarsi quando vogliamo narrare un racconto: il più delle volte il racconto di noi stessi.

RMS.

 
Pagina 1 di 1