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Contaminazioni Creative
Cena Spettacolo Contaminazioni
Creative Bianco Calce
Spasmi fra i testi di Massimo Acciai, Jacopo Barca, Tommaso Chimenti, Simonetta Della Scala, Giuseppe Fai, Luca Mori. Poliedrica regia: Massimo Morandi. Colori di luce per la responsabile eventi e creatrice costumi Mania Brundu. Serpeggianti attori: Adriana Borgioli, Ilaria Borgioli, Jacopo Braca, Simonetta Della Scala, Simone Guasti, Massimo Morandi, Luca Mori.
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Testi di Massimo AcciaiPoesie: VERSO MONTECATINI (in collaborazione con Luca Mori)
Guarda la campagna toscana, gli ulivi i vigneti i girasoli i cipressi e i cespugli lungo la ferrovia. I campi da calcio deserti, lo scintillio delle rotaie primaverili, le piccole stazioni periferiche, le terme 7 km a Pistoia. Il sole primaverile, i corsi d’acqua, i colori – verde, vedino e verdaccio i campi da calcio, le autorimesse, le gallerie, le nuvole – grigie, grigiastre e tiepide le colline, i castelli, il fumo, le autostrade, le ciminiere e i campi da calcio. Rotaie primaverili… Montecatini Monsummano Montecatini Centro. Le panchine e il carnevale primaverile.
SEGRETI DI PULCINELLA
Siete vento freddo, ma nessuno deve scoprirlo, vendete la luce solare attraverso gli alberi per mantenerli caldi, in tonalità pacifiche di verde. Tuttavia nella nerezza della mia mente la famiglia platonica, un applauso della mano, colpisce una barretta nel giardino zoologico, perforato l’orologio d’argento nella roccia dorata.
Sono perso in un sottopassaggio, intuisco il tempo perso. C’è un uomo che guarda uno scomparto. ma nessuno deve scoprirlo, io sono indietro ancora. Ritenete le ceneri dal fuoco che li ha mantenuti caldi. La relativa comodità sparisce, è suscettibile attraversa per ripartire effettua uno studio sulla disperazione, uno ha troppe tendenze schizofreniche, le mantiene in conservazioni complicate.
Firenze, 20 agosto 2001
E LEI DORMIVA BEATA…
Pesanti parole
cadono attraverso l’aria Lei viene spesso
a riposarsi
Le penetrazioni offrono collegamenti con gli
istruttori di auto taglienti, un’immagine della distanza di un periodo in
cui In ritardo negli angoli ha ballato
sull’oceano, coi colori del risveglio che non seguiranno il dolce che è nella voce.
Prolungato
nell’aria dorata animale dal velluto riservato seduta nel camino che brucia il suo tempo.
Firenze, 23 agosto 2001
LE MANI DEGLI UOMINI COMUNI
Le mani degli uomini comuni rivoltano le pietre affinché l’anima dei vostri bambini faccia scorrere linfa attraverso la vostra vaschetta friggente e fertilizzi il vostro fuoco. Ciechi con la morte netta chiara di visioni nel terrore della vita. I loro bambini si inginocchiano sugli altari per imparare il prezzo del martello; Intorno alla nostra terra madre le attese hanno riequilibrato le sale. Non serve protestare, signora devota, che muori rifinendo il corso; che anneghi in salsa di miracolo.
Firenze, 19 agosto 2001
RETORICA DEL CUCCHIAIO PIEGATO
Nuotiamo ogni fiume e canale che la loro potenza sta sviluppando. Ci infiltriamo in ogni città con il loro odore d’avvertimento scuro spesso. Siamo invincibili immuni a tutto il nostro carattere avariato erbicida. Venuti dalla notte che una foschia ha dissolto con gli alberi e dai colori chiari rotti voli, sbiadendosi da pallido ed il freddo come le figure si riempiono di fili senza sosta e sopra e sopra con l’estate della fiamma ancora pezzo delle immagini presto tonalità di albeggiare, i loro occhi siano fiochi, tutte le parti nel cielo ripari, solo all’interno di una tempesta e la speranza che perdente annulla va sotto un albero, nessuna conseguenza prenderà le redini da nessun posto, là c’era una volta una raccolta in questa terra turchese il riempimento dei tre bambini nel flusso di bobina e nel loro sportello, lungamente fra le colline russe, un esploratore affoga in una palude, la creatura botanica si mescola, cercando la vendetta, cerca riparo dentro la notte! Loro che hanno bisogno del sole, fotosensibile il loro veleno. Noi coltivatori, conosciamo quando seminare, consultiamo l’uomo anziano che innesta i soldi nella mano, i signori alla moda del paese hanno avuti alcuni giardini selvaggi coltivati, in cui non colpevoli hanno piantato aceto durante la terra gelata, la gente moschicida divora molluschi cammina sul pianeta sul fondo del mare nella tomba nella foresta densa di pini scuri. All’interno di una caverna nascosta, le crisalidi allevano un bambino impaurito del loro amore.
Firenze, 21 agosto 2001
L’ULTIMO RESPIRO SULLA TERRA
Credano pure non vi sia mai stato un dio sull’estremità di questo mondo che diede vita alla relativa gente dal cuore aperto come uccelli senza ali da un’altra base drammatico come un gioco evasivo come un’ombra schermo archivio di tragiche follie; ma non importa!
Qui oggi il cielo rosso racconta al suo racconto, ma gli unici occhi che ascoltano sono i miei la pace fra le colline la notte riguarderà tutto il coraggio. Loro sorrisero dai corpi liberi, attendono ancora lavando sulla luna la loro l’esperienza, sorridono dei miei cedimenti. Sì, percorreremo insieme il percorso dalla mia sede, conservate fuori della notte la lama ghiacciata aspetterò tra pesci silenziosi fra le erbacce e l’acqua viscosa l’altro lato dello specchio.
Voglio bere quest’acqua prodigiosa!
Firenze, 21 agosto 2001
Testi narrativi
c
- La Vita… - Già, la Vita! - … inizia in modo così strano… - Strano come? - Un paradosso! - Come… - Come una suoneria musicale che manda melodie all’interno. - Già. - Già. - Tutti hanno bisogno del sole e di farsi ombra con la mano. - Hai un’espressione ebete. - Cerco vendetta. - Osserva la parete, là sul pavimento, sotto il cuscino, dietro il portello: c’è una crepa nel mondo. - Ne ho forse colpa io? - La bestia reale non si è dimenticata. - Lo so! - L’orologio ha barba di bambino. - Quanta saggezza nei proverbi popolari! - E quanti corpi hanno cuori e reni! - Spandono il loro seme. - Nasce un rododendro. - Una mimosa. - Una quercia secolare. - Una rosa. - La verginella rosa, è venuta dai giardini del re. L’ho vista domani, giocava con una canzone e si è cronometrata gli occhi. - Prendi questo libro. Ha colline russe e borchie di tungsteno. Narra la storia di John il Fotosensibile. Lui ballava coi giganti e si spegneva sigarette sulle mani. Desiderava un tamburo immune a tutto il nostro carattere erbicida . Gli dissero che l’uomo dei mezzi gli aveva rubato un foro. - Non ci credo! - Rumore! - No, suono… - Calore - No, tuono! - Sudore - Amore? - Parabolica che deve morire, deve morire, deve morire. - E perché mai? - In piedi nella stanza il mio corpo ha cominciato ad invecchiare velocemente, lasciando un bambino-mente all'interno. I desideri del corso della vita si sono sollevati attraverso il portale di scimmia, l’anello del potere… - Ma questa è la storia del Pancale Abbandonato! - Ma no, è che i lavoratori non qualificati hanno costruito le ferrovie in Antartide. Il costo in termini umani da solo era molto alto... - … eppure il re mangiava anche allora cibo per gatti. - E di quello buono anche! - Poveri gatti! - Poveri marsupiali!! - E poi? - Andai fino al Triangolo del Diavolo, cercai il Giardino delle Vite Senza Fine e imparai che la pace è un uccello che canta. - Una pace di giada. - Ma insomma, quando dirai “hpei” al tuo amore? - Quando lei mi risponderà “tät”, è logico! - Mica tanto; io coltivo creature botaniche in serre amichevoli, bagnate da un sole morente, mentre l’acqua ristagna ad ovest e la neve avanza da sud. - Eppure qualche tic tac toc verrà pure a salvarci! - Non ci giurerei, il flusso dell’anima è alla sua bassa marea e il cuore ha angolature smerigliate. C’è un momento d’amore per ogni segno zodiacale. - Volare sulle maree del cosmo non è da tutti, dobbiamo raccogliere pietre di fango e incendiare le menti stanche di annotazioni sul pentagramma. Il suono è oscuro, le onde della notte portano frammenti di ristoranti e ombrelloni alla mia spiaggia deserta. Triste pesca stanotte. - Il vento porta memorie di autogrill e schiuma solare, là dove il solleone rompe le catene arrugginite. Una poetessa aprì il suo cuore e ne uscirono visioni lucide e graffi intellettuali. Era bello. - E’ come un iceberg platonico, dove le mani non aderiscono e il fiato è trattenuto. Ho visto riflessi d’acciaio e vetro colorato, da cui osservare il mondo è cambiare prospettive e labbra. Si può anche tornare indietro, qualche volta. - Andarsene. - Pelle profumata, inseguimento di sogno di amore e di carne. E’ rischioso, meglio il ghiaccio dell'intelletto astratto e razionale. Uomini-macchine. - Uomini-bestie? - Uomini-uomini! - Leccare il gelato estivo, osservare lanterne accese nel buio, ascoltare la risacca notturna, non andare alle feste, ballare nella mente eccitata, mettere aspartame nel caffellatte e non domandarsi mai cosa affiorerà nel vortice della sopravvivenza. Nel ventre della balena non entrano luce e critiche ermeneutiche. - E gli hotel sono discreti spettatori di tragedie nascoste, di violenze e violini, di perduti bambini. Il freddo è moneta, la regina di mezzanotte si libera della corona che non sa di avere e si veste da pappagallo. La pioggia bagna gli occhi sbarrati. - Ma non c’è solo pioggia a questo mondo! - Sì, c’è anche un cuore di donna illuminato dall’alba di un mondo perfetto. - Un consiglio: osserva dappertutto, ma non all’interno di te stesso. - Non sono d’accordo. Quando cambia il vento, si possono ingannare dispositivi mentali e baciare all’improvviso chi ami. - Ma poi? - Faremo un brodo di bugie e ci rimboccheremo le maniche scucite. - Tabelle e banane, i palmi delle mani chiederanno affetti e guanti. - Tutta la totalità della mattina vivrà in schermi silenziosi. L’alito saprà di vino fragolino e vedremo scintillare scarpe da tennis e mocassini. - Beh, certo che è strano… - Cosa? - …come finisce… - Cosa? - …la vita e inizia la Vita.
Firenze, 22-23 novembre 2002
La vita…
Non ricordo di averlo offeso in alcun modo. Se l’ho fatto, non me ne sono resa conto. Perché mi ha detto quelle cose? Perché mi ha riattaccato il telefono in faccia dopo quelle parole così dure? … non mi cercare, per te non esisto più! Perché, Cristo santo? L’ho cercato poi, quando il mio orgoglio me l’ha permesso – dopo tutto era lui che, dopo sette anni di amicizia e intimità, ha troncato tutto senza nemmeno darmi una spiegazione – e non l’ho trovato. Ho telefonato a casa sua. - M. è in casa? - Ha sbagliato numero (voce odiosa e ostile di una perfetta sconosciuta). Riprovai. - M. è in casa? - Ha sbagliato di nuovo, ma che numero ha fatto? - Non è questo il 496097? - Sì, è questo, ma non c’è nessun M. Al terzo tentativo mi arresi, piuttosto perplessa. Provai sul cellulare. … il numero chiamato è inesistente… Voce elettronica derisoria e amara. Cominciai a preoccuparmi, ma dovevo andare all’università e non avevo tempo per richiamarlo. Gli mandai la e-mail che avevo preparato in questo caso, scritta la sera prima, con la speranza di non doverla mai usare. Pensavo a lui durante la lezione, chiodo fisso di un lunedì mattina. La sera aprii la posta elettronica. Il messaggio mi era tornato indietro. Errore, indirizzo sconosciuto. Riprovai al telefono di casa e al cellulare. Niente. La situazione cominciava a diventare inquietante e irreale. Telefonai a S., comune amico. - Sai che fine a fatto M.? Mi aspettavo ben altra risposta, o domanda (“perché?”) da quella che già presagivo nelle mie ipotesi assurde e fantastiche, quelle con cui si balocca la mente in stato di tensione. - Chi? - Come chi, M.! - Mi stai prendendo in giro? Gli risposi di sì e riattaccai, sconvolta. Stavo diventando matta? Di certo mi avrebbero preso per matta se avessi insistito, e di pazzia io non voglio neanche sentir parlare. Soprattutto se la matta devo essere io. Telefonai a F. Stesso risultato. Sembrava che, assurdamente, nessuno conoscesse M., neppure i suoi amici più intimi. Feci un’ultima prova con S. prima di uscire. Guidai come una pazza fino a casa sua. M. viveva solo, in un appartamento del centro. Sul campanello c’era suo cognome – respiro di sollievo – ma non c’era nessuno in casa. Sarei tornata più tardi, pensai, ma intanto mi sembrava di impazzire. Perché il mio migliore amico sembrava scomparso dalla faccia della terra? Tutto questo accadeva una settimana fa. Non ne ho più saputo nulla. Devo andare avanti, devo tacere, sarei considerata pazza. Nessuno può sapere quanto mi costi tacere. … il numero chiamato è inesistente…
… è sogno?
Mi sono svegliato urlando nel cuore della notte. Un incubo senza dubbio, anche se non ne ricordo bene i particolari. Mi asciugo il sudore sulle lenzuola. Guardo la sveglia: le 2.04. A quest’ora l’organismo ha la sua bassa marea, il sangue scorre più lento, si è più vicini alla morte. Invece il mio sangue batte furioso nelle tempie e il sudore, che sa di dolciastro, mi appiccica il pigiama al corpo. Sono sveglio ora, ma ho paura. Non è come gli altri incubi, talora davvero spaventosi, da cui si emerge terrorizzati ma dura un attimo. E’ un sogno, siamo al sicuro. Tutto sfuma rapidamente, come fumo di sigaretta spazzato via dal ventilatore. Cosa ho sognato? Non ricordo… un’impressione… Anche stavolta è un’impressione, ma ben diversa dalle altre suggestioni oniriche. Ho sognato qualcosa a proposito di C., la mia amica C. Perché mi costa così tanto dire “amica” in questo momento? Mi ha aggredito, fisicamente e verbalmente, mi ha annientato, mi ha umiliato e mi ha stordito. E’ solo un sogno, eppure la odio. La odio con tutto il cuore. Il solo pensare a lei mi disgusta. Eppure è – era – la mia migliore amica. Quanti ricordi! Insopportabili adesso! Non la voglio più vedere, voglio dimenticarmi di lei. … il numero chiamato è inesistente…
Firenze, 28-31 ottobre 2002
Amavo una donna che non esiste
I sogni sono principalmente incubi. Un mondo riservato è l'unico santuario, l'unico ospedale, l’unico sole e l’unica energia pulita. Questo mondo riservato non ha contorni, istituzioni, cittadini… accade perché lo sognate! Il watcher dei cieli è un cosmo a parte, non c'è nessun mondo oltre il suo; per lui la vita non può più avere sorprese. Egli solleva i suoi occhi come sconosciuti corpi celesti. Creature ha modellato il terreno di questo pianeta; la vita ancora ha distrutto la vita. Gioca altrove, dio bambino, sotto la tettoia della lucertola con la relativa coda: questa è l'estremità dell'unione atavica dell'uomo con terra. Quando il vecchio sole grasso nel cielo sta cadendo, gli uccelli di sera d’estate danno nomi al Tempo dolce e mordace; allora il suono di musica in vecchi orecchi mi dice che la mia vita sta per ricominciare da zero. Mi dica, professore, quando il soldato si riposerà e spargerà attorno la sua bontà e il suo meritato amore. Mi spieghi, ora, in questo mondo ugly, se è tempo di distruggere questa malvagità mediorientale. Quando mai la parola “libertà” sarà pronta a combattere per la vostra libertà? Orbene, che sia un hero a promettermi tutto dei vostri sogni violenti e che illumini il vostro corpo con rabbia! Ora, ora – alzati e combatti! La nuova erba falciata sente l'odore di sangue, così dolce e glorioso che il nemico non conosce. Dal fiume, che tiene tra le mani il suono d'argento da un momento così sconosciuto e nuovo, canto un canto di pace e sole. Il watcher dei cieli è un universo a parte, non c'è nessun mondo oltre il suo; gli uccelli di sera d’estate stanno ridendo con i bambini mentre l'ultima luce solare sparisce nell’oscuro ovest, inghiottita dai rinoceronti della notte. Un uomo grasso e piccolo ci chiede di andare a farci trucidare ed ci domanda l’affitto per il cielo di piombo. Non so perché tutto ciò sembra così divertente! Il winkler ha denominato ancora, è venuto qui questa mattina, con quattrocento libbre e una fotografia del posto che ha trovato. Un caseggiato con il riscaldamento centrale. Eh sì, i sogni sono principalmente incubi. Se vi sedete e vi toccate i piedi nudi sulla terra, se ascoltate il rumore che fa il mondo ruotando attorno al suo astro, se prendete la mano della vostra donna – del vostro io bambino – e la stringete delicatamente, se le dite “ti amo” con dolcezza in un momento sconosciuto e poetico, se ascoltate la risacca del vostro cuore in una notte calda e aperta, allora la musica sarà la lingua di questo mondo oltre penombra. Gli alberi si leveranno in piedi, rigidi come note a piè di pagina, le acque si incresperanno e ruggiranno; gli uccelli di sera d’estate sfideranno orchestre al gioco del silenzio. Da un paese sconosciuto vicino al bordo del mondo, dove i colori sono luminosi e niente è programmabile, la relativa gente di buon cuore ha buoni argomenti per amare e sa tenere le mani a posto. Il watcher dei cieli è un innocente a parte, non c'è nessun mondo oltre il suo; le acque della mia materia d’infanzia hanno santuari riservati ai fantasmi e alle riflessioni onanistiche di chi è solo. Ma sì, prendiamo piacere dal nostro corpo, c’è tutto ciò che serve! Torna l’uomo con la sua stanchezza infinita, torna al suo fazzoletto e alla fantasia oscura. E’ un posto in cui le riflessioni possono essere randomizzate e le facce guidano nei flussi nascosti. Oh, questo non posso credere di lei; che eravamo conformi al permesso di prenderci per mano e saltare nell’ignoto stellare. Il vecchio barman era un’anima allegra, così ha richiesto il suo tubo ed ha richiesto la sua ciotola ed ha richiesto i suoi fiddlers. Ma l'orologio fa tic tac, tic tac, tic tac, tic tac, TRONK, oh diammine si è rotto. Il tempo è quella signora, che spazzola indietro i vostri capelli e familiarizza con la vostra faccia. Il tempo è una signora sposata e con prole. Sto aspettando qui, nella sede del mare, il tempo che striscia sul lato cieco, shinning sulla parete rubante con l'oscurità della notte che si arrampica attraverso una finestra, facente un passo al pavimento controllante il raccolto a sinistra e giusto sulle parti, mettente lei via qualcosa non ritiene abbastanza di destra da aiutarlo qualcuno lo ha lasciato da qui allora dall'oscurità era benvenuto improvvisamente sentito alla sede dal mare che viene verso l'esterno la lavorazione del legno, attraverso il portello aperto che spinge da suddetto e sotto le ombre senza sostanza, nella figura degli uomini rotondi e giù ed obliquamente vanno alla deriva senza senso, occhi quello stretta disperazione allora come… ma che diammine sto dicendo?! Il watcher dei cieli è un oceano a parte, non c'è nessun mondo oltre il suo; egli è H2O, è CO2, è cellulosa microcristallina, è magnesio stearato, è polietilenglicone e sodio carbossimetilcellulosa. E’ vita e aminoacidi, leggere attentamente le istruzioni. E’ oceano e fiume, illuminato dalla fiamma e dalla luna. E’ montagna, è pace e vento. E’ storia e foglia marcia che galleggia sull’acqua placida. E’ il mio nome di 356.894 anni fa. Non si chiude su se stesso, è una canzone lunga 200 miliardi di miliardi di minuti e 51 secondi. E’ la materia della genesi e della musica, è il gioco del dio che ha creato dio. Una nota risuona nel cielo stellato, nella galassia, nel cuore della creazione. Credo fosse un si bemolle un po’ stonato.
Firenze, 16 novembre 2002
Poesie di Iacopo Braca
Teatranti D’amoreTeatro necessario per poter urlare l’essenza di un’ uomo Il teatro BISOGNA respirarlo con il proprio corpo inondarsi di sensazioni che esplodono nel Kaos dei sentimenti e della propria purezza.
Nella stanza degli odori
Nella stanza della passione amanti rimbalzano come schegge impazzite perse in un vortice d’irrazionalità, intenti a cogliere l’attimo di minuscole particelle. Odori, fragranze, mischiate in un cocktail di sensazioni. Clandestini di giochi d’amore si sentono, come pesci catapultati in vasche da bagno, coperte da bolle di sapone. Si Aprono - Occhi pieni di sogni Si Chiudono
Folli pensieri
Momenti d’interminabile Follia Pensieri che volano come parole frenate dall’istinto della pura verità. Non possiamo più sopportare decenni di soprusi, di momenti, che vanno e vengono incontrollabili dentro la mente.
Bar chiusi
Persi in tavoli da bar coperti da nuvole di fumo rinchiudono, nelle nostre menti giochi di complessi neuroni. Rinchiusi in una scatola di legno con giornali crociati mozziconi che assaporano odori di grigi colori. Immagini, si chiamano, come a rincorrere aquiloni densi di scariche elettriche.
Testi Narrativi di Tommaso Chimenti
LA SECONDA VOLTA
La seconda volta che ti vidi avevi occhi di rame e mille sogni tra i capelli ancora neri e pensavi “amore, amore, amore”, i pantaloni larghi, la cintura di spago a tenere su i tuoi anni deboli e le tue ossa solide, un fiume in piena di voglia di futuro, di dimenticare il passato triste, di voltare pagine pesanti, credere in quelle piccole unghie da scalfire pioggia sempiterne di ruggine e petrolio, tutto tuo, di getto, un salto indietro, una capriola nell’universo ero, un punto solo di un discorso appena cominciato, un quadro afono senza colori, ancora da fare, caldo come un sorriso, divenire paglia o ago, solo intorno a promesse, nato da una consuetudine rivestita di morale animalesca replicante, come anello a circolo chiuso, che stringe mani e catene di cuore e fegato e viscere, patto di sangue su asfalto infarinato di dubbi rosolati al sole tenero degli anni ’70.
La seconda volta era una chiesa, la casa sgombra da smantellamenti, libera da appelli e orpelli, cappelli a far da ombra a libere interpretazioni dei testi, mani che sudate toccano e strusciano l’obolo liquido intorno al rancido discobolo, striscia la cupidigia del suono biblico, dell’acuto sibilo di un urlo scoppiettante blasfemo, tu alto dall’alto dei cieli, modello senza vie di fuga, aspettative a grappoli, fame di perfezione riversata a secchiate tra invitati affettati e fretta dimentica, tra mura rivestite impellicciate e dita di trine da concerto classico, tintinnii di campane docili e orazioni da grande evento, eri, stavo, fermo dentro un pianto lungo un’adolescenza tranquilla di no e si deviati da umori impercettibili come lampi di tuono e tuorli d’uovo, struzzo che corre nella savana del suo recinto, ansante.
La seconda volta era una lettera scritta male a mano nella confusione dell’eco dei silenzi che ostruivano la miscela vitale, le arterie rosse di vergogna e morsi nella bocca, dove eri? Lontano nei chilometri in parabrezza affilati di critiche e malumori, nel traffico sporco dell’anima, nella costrizione dell’avere di questo strano modo d’essere, un piano scordato tra fari di stanchezza, mi pensavi?
La seconda volta ero piegato su me stesso con i colori dell’autunno sulle spalle e suoni che fumavano intorno vagheggianti verdeggianti di oltre, di fuori, di altro, di diverso, di alternativa possibile, di aria fresca, di assiomi ribaltati, di regole zero, di cardini derisi, di fulcri depressi, di moine variopinte nell’universo bestiale umano, di contorni senza piatti forti, di cornici insolute, di ritagli di giornale e fatica subliminale; raccontavo me, ti dicevo dove ero e ti chiedevo una mano per andare dove non credevo si potesse: la felicità.
La seconda volta furono esperienze e tradimenti, pensieri impuri ed azioni che lo furono meno, prepotenti ma senza potenza, avrei voluto consigli svuotati di significato e non ordini, parole e non imposizioni precise, misura statica e contegno statuario invece di palpabile sdegno mostrato con tracotante rabbia, cotanta delusione e costante privazione, riprovevole antipasto del futuro nelle quattro stanze chiamate anima.
La seconda volta era il riassunto della prima, era corpo e possibilità, era ciò che sarebbe stato, liquido e ansioso, duro e fluido, gioioso e tristemente impaurito, contento, esilarante popolano e popolare con i dubbi messi in piazza, con la rabbia incasellata in lastre lucide di parquet vivace e marcio all’interno, sprizzi d’urla e sprazzi di viltà a difendere contorto l’orto nascosto nel bosco di mosto, dove affondare era legittimo, rialzarsi impercettibile. La seconda volta aveva il sapore del terremoto, della polvere che impedisce la visuale, del mare ascorbico, tenero impaurito, dell’onda bambina che muore infrangendosi ancora e sempre su scogli troppo appuntiti, angoli scalfiti da mani contratte nell’atto di punire la natura per lo sgarbo subito d’essere uomo e non roccia marina, era sguardo che si caracollava tra marciapiedi morbidi di cous cous e pappa al pomodoro e divieti di sosta granitici per non farmi entrare nella Z.T.L. del tuo cuore.
La seconda volta era un orologio per contare gli infiniti minuti che ci dividevano, ci separavano in contrasto, lancette che scheggiavano l’assurdo del ricongiungersi, il fiato sul collo, mai bacio, il rincorrersi non per prendersi ma per scappare l’un l’altro da metodi troppo dissimili, da mani senza calore, da sorrisi manageriali, da etichette sopra merce avariata, contraffatta: io non ero così.
La seconda volta era una rima senz’anima, senza riflesso nell’ombra d’ingorgo, era un pamphlet senz’armonia né sostanza gravitazionale, ed era grave udire rumori di tomba e orco e catene giù dalla discarica dei vivi salire colpendo ferite di un tempo, tenaglie per molari amorali, dentisti di noi stessi, tu, io ed il resto a far da belle statuine ingessate, registrate, inchiodate al filo sospeso cangiante tra la porpora del pianto ed il giallo dello sconnesso viso.
La seconda volta credevo, stavo ancora credendo, decimato nei sogni fanciulli estivi che a settembre induriscono come funghi velenosi nel sottobosco della vita; credevo e bestemmiavo, credevo e rinnegavo, credevo ed ansimavo, credevo e ripensavo, credevo e sanguinavo, mani trafitte, testa corrugata, piedi di piaghe, occhi incensati, braccia di lattuga, peli superflui e bla bla bla di stimmate a percussione ritmica, la base, l’altezza recondita, il,patio dei miei anni incivili, dicevi, astratti, senza posa, soap soft e candeline di buon anniversario marmoreo.
La seconda volta ero cieco ed avevo bisogno di mani a guidarmi tra scossoni e cunette ed elenchi telefonici troppo colorati e stanchi grigio pallidi d’inchiostro incensato arrogante periferico, sussurravo numeri ed erano soltanto perifrasi di parentesi di graffi astiosi come porti senz’imbarco, autoritratti di banchine e giostre scalcinate, rovinate dalla pioggia schivata a tastoni come lettere bianche sparse su fogli candidi di sillabe di neve corrotte da rugiada e liquido amniotico.
La seconda volta avevo un cappello e molti capelli dentro a nido d’ape arruffato scapigliato movimento circolare delle mani incastonate tra quei fili d’impazienza del crescere e voglia di corsa tra file di auto incolonnate verticalmente oblique a noi stretti nel sangue di un corteo isolato di due protagonisti fugaci in continua lotta nel dimostrarsi l’amore che non riuscivano a dimostrare, orpello d’orlo abbellito da “grazie” svenduti al miglior offerente, critico e vile come un abbraccio freddo di quelli che sai tu.
La seconda volta era estate ed i tuffi li facevamo dal molo, dalla riva di urla e schiaffi dell’acqua che ci segnava vivi, che insegnava la linea tra il respiro e la bolla d’aria, l’embolia dell’emozione nel ritrovarsi finalmente pesce, tonno di tonnara, seppia infreddolita nel buco del mondo, crostaceo di spighe indefesso; l’onda che prendeva tempo, assaporarla in visione mal ridotta, impostare l’apertura alare come albatross pennuto a picco indagato di complotto nel volteggio dell’aureola stagliatasi fetente tra la cozza colta in flagranza di reato nell’avvinghiarsi e la roccia punibile di scarsa solidarietà. La seconda volta era un campo di calcio, uno stadio semi gremito, mezzo vuoto, quasi deserto, la tribuna in cemento, l’erba, il campo, il livore livido e parastinchi che non potevano non fermare il freddo, la distanza inavvicinabile tra noi, divisi da una rete di recinzione quasi a sottolineare la cattedra, il gradino, la prosopopea, il cratere, la frattura, tra il figlio ed il numero sette, teso quando correvo scoordinato sotto le gradinate assiepate, timido riflesso nel guardare di traverso con la coda dell’occhio e capire, forse, mai, i tuoi movimenti oculari, dove sarebbe caduto il pensiero del momento, le parole del dopo, il tragitto in macchina, sperando vittoria.
La seconda volta fu una scuola dove erano tutti soli, senz’anima, con lo sguardo spento dall’elevata retta di fine mese, con la violenza del potere, la furbizia, la scaltrezza dell’arrivare, del primeggiare senza meriti, senza dote umana alcuna, senza memoria né rispetto; anch’io infangato, animale da passeggio trovai speranze e giustificazioni all’odio e canali e chiavi di volta, di lettura, compiacenze e Lucignoli pronti ad accogliermi, pronti a scaraventarmi dal carro in velocità verso la maggiore età, le divisioni sociali, il saluto negato, il disprezzo dell’altro.
La seconda volta si travestì da ospedale e medico e infermiere e stetoscopio e paziente e inserviente ed addetto e volontario e tachicardia e bisturi, incudine e ferite lacero contuse, una caramella, la felicità dei quattro anni e la gola stretta che lotta con un piloro troppo solerte e ligio ed ignaro della distrazione fatale, risuscitandomi, io serpe in seno.
La seconda volta fu la prima, quel giorno di luglio, un letto sudato, coperte e conchiglie, sogni di fanghi e lavoro ancora da studiare, le finestre spalancate urlarono nascoste e fatiscenti con delizia divina e disordinato piacere, mosse commosse, atti e gesti pronti all’uso, la memoria stanca nella stanza, lui, lei, io, domani.
STRETCHING ESTIVO
Aereo maledetto aereo. Tra me e me mi ripeto che non lo voglio prendere, che se lo prendo non devo aver paura, che se ho paura sono un bambino, se sono un bambino non posso volare da solo, se sono solo allora voglio scendere, non saprei a chi rompere le scatole con il mio sguardo nel vuoto, la mia faccia finto pallida, il mio classico “Eh, non sto mica tanto bene”, il mio libro portato per passare qualche ora proprio quando sorvoli la testa ignara della gente che produce, lavora, crepa. L’aereo prende il largo, i pensieri della città si fanno sempre più presenti perché io faccio parte di quella categoria di infidi pedanti e malsani che affermano che “si parte per tornare” ed ancora “sono turista ma non viaggiatore” non sorseggiandomi completamente la vacanza, il week end. L’aereo decolla ed a terra lascio qualche amico che non ho salutato, alcuni ricordi ossessivi che sicuramente torneranno, con mia grossa malata felicità, appena rimesso piede sul suolo italico, qualche bolletta che non si scorderà di me ed arriverà con l’amica mora, un paio di birre chiare, come la giovane al mio fianco, bevute fino a metà e poi lasciate ai posteri. L’aereo è sofferenza ed imbroglio, tensione ed acidità depressiva, è un crogiuolo di esperienze e tumefazioni facciali, espressioni come a dire “Te l’avevo detto” e sguardi pseudo amichevoli tanto per non gettare energie negative all’interno dell’abitacolo già invaso da profumi appena acquistati al Duty Free, impregnato di odori ascellari scellerati che tolgono la fame per alcuni giorni, intriso di sigarette e sigari e pipe e tabacco rimasto impigliato negli atomi dei cappotti grigio perla e color cammello ed a tinta unita e con il bavero rialzato di cotone striato e camoscio trattato e lana merinos geneticamente modificata e pellicce ecologiche ed analcoliche e pullover fuori stagione e sahariane che non hanno mai visto un filo di sabbia adriatica. Si parte verso le nuvole, il blu, il continuo rotolare di tutte le cose, questa falsa divisione tra terra e cielo, fluttuano i bambini che piangono e le mamme accorate intenerite, volteggiano gli studenti preoccupati e le fidanzate carine, sussultano gli uomini d’affari con occhiali senza montatura e hostess montate, gorgheggiano i racconti dei vicini che interrompono la noia di sogni hard senza esito finale accettabile, pullulano espressioni e maldicenze come se non ci sia domani e ci sia stato comunque poco ieri da difendere coi denti, fibrillano stati ansiogeni e tutte le patologie dei libri di psicopedagogia vengono a galla nel più grande campionario vivente, lo zoo libero- costretto in bella mostra di sé. Mentalmente controllo tutta la mia vita: gas, luce, acqua, ho spento il frigo, pagato il droghiere, chiuse le finestre, doppia mandata o soltanto una scarsa scarna, pillole e pastiglie varie a corollario del kit del piccolo farmacista alchimista in vacanza, troverò cosa cerco, cerco ciò che voglio trovare? Il pensiero mi assale fin tanto che la gelida aria condizionata dell’aeroporto, di un qualsiasi aeroporto, mi congela ogni emozione e come ghiacciolo appena tolto dal freezer divento automa pronto ad essere mordicchiato da un qualsiasi burocrate messo lì a divertirsi con timbri e firme, saluti romani e passi dell’oca fioca. La partenza è un po’ il ritorno, alle origini, alle paure ancestrali, al bisogno di certezze, alla voglia spassionata di mamma, ai sapori della propria terra, ai profumi ed alle vedute dalla propria finestra, la brama della tastiera, il desiderio di riferire a chi non leggerà, la bramosia del perdersi indefinito al tramonto e ritrovarsi, vana illusione, domani migliore.
Poesie di Simonetta Della Scala
Codeina al party del codice a coblas. Sia forte l’Altro, colle colubrine svelte del coltro al bromo. Ed in vaio quei fez… Vae victis! Rien… Rigidi bipedi, zane, all’esca di vagine.
Menade, i sensi di sciame in esterno. Volerti in mani da gesti scorsoi, sorridi al vento sorridi in me sola. Il conscio arcano fra lieviti inside.
Cerili oltre la soglia, viva di sonno scoperto agili seni. cercare a sera che tu sia e che tu sia di Bacco, lestre; che tu non ti vòlti, agli seni, quegli occhi su me.
Nottesapeva di cere rubino, notte di anime indosso. To scent sharp, suoni di biglie fra dorsi, e il senso, era, dicevi, confine di limen silente. Profilo stretto: di ogni pelle su te.
FastidiSciamiti in ghirba alla sera. Mescono corde al duro di giorni affollati, al seno di pratici indusi.
Fragili, ribèche in share. To mean laci inside.
Inversione
Ustioni di un cavaliere che migra nel lago dell’Oro. Violenza di zoccoli e tralicci ai quali resti fulminato. Barbe-distanza blu-cartazucchero/ come un uovo in lutto. Masturbano fiori i moscondoro. E la neve è un tumultare di mosche.
Séccie
Ed eri lanca alle sarge. O forse reda fra seni di cotto. Quarta milizia: crena changer.
Mungono chicchi i suoi tralci senz’acqua. La pelle dell’orizzonte che non tampona questa pazzia. E il mulino carta drappi sul baratro non danno ululi e sirene. Vedi che ci sono ancora? E’ facile controllare i morti fra le centraline. E’ lì che il pensiero fuma. E’ lì che lo puoi incastrare.
Fondale
Sguazzi di zazzere azzurre! Assurde – Scoccano cocche in bicocche – Blicche – e scirocchi…fiocchi… giochi barlacci!
Sigizia siviera mentale riviera bandiera di lecci eccessivi…boschivi ritratti…contratti… contraffatti.
Trote che slembano lembi di caldi ruscelli… orpelli per quatti salmoni tutti i covoni sono fuori…sulla spiaggetta. Ricetta di menta al gratè per il patè di te piccola orata imbrigliata!
Smagriti ritegni di trote in amore pudori di laici fresconi in cerca di gran libagioni! Ossessioni nel buio marino che dico:silvano!
Slittini di lucci: una breccia veloce… mordace…induce… allo scatto…il docile spratto.
Peleco, alburno, alborella… coccinella (?) nel mare? E’ irreale: c’è il sale… che la assale sul fondale crinale a testa all’ingiù di un mondo che non si dà più.
Murena, odiosa falena che strilla modi d’anguilla e sigilla corolle ad ampolla.
Dolce ippocampo fra gli zeidi!
Ma… strane giovenche marine piangono orche assassine! E lampi stellati lì in fondo - onde… tonde – crepitano fuochi e tam tam. Selaci… verdesche e squali balena ingaggiano piccole iene/sirena.
Figura lì adesso un grande falò o trama nutrita per un menabò?
Non lo so!
Poesie di Giuseppe Fai
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@20 L’odore fa un passo avanti sotto la lingua, quando a intervalli nella settimana aggiorno la lettura dei botta e risposta graffiti nei cessi pubblici. Fecondi friggono corsivi fusti carnosi, sentimenti germinali accampati tra metastasi di isterie. La nostra epoca gracida la sua crisi su disperati supporti.
@@21 Nota, pistillo acrobata molte cose restano sfuocate:
a volte non c'è sipario e dietro le palpebre eccitate dell’insonne sorride fluorescente un colorino che si inficca.
Si estinguono però presto gli incompiuti pensieri ognuno nel suo modo di non essere pronto.
In lenta processione di ipotesi leggere sale il miserere che ci accosta al sonno.
@ Si tentano ripari dentro ai fiori che la linfa ha scalciato fuori dai boccioli
negli sguardi di chi cerca una nota di libero vento che smidolla i corpi in un maglio di baci.
Si tentano ripari dentro ai fiori, filtrati tra domeniche salivari.
@ Macchie di traffico orfico nel bosco azzurrognolo boccone di prato. Quale ora viene adesso?
Viene l’ora dell’insetto dannoso in righe d’ordinanza.
@ Ancora e ancora ti chiamo alla soglia di un ramo di ora.
Esatto annuire attendo sospeso ad orrendo Aprile.
Coscritto di lasca affitto un’efelide per il pomeriggio.
Poesie di Luca Mori
LA DOMENICA
Che si fa non si sa si sta zitti chi lo sa il domani che verrà sarà bello come l’oggi non si sa sperem de sì sono stufo del tartufo preferisco gli ufo la domenica è passata e non ho visto nemmeno un gufo.
LE MIE GIORNATE
Son tutte uguali, anche un po’ banali però inventiamo qualche cosa oh ecco un’idea si parte la macchina la moto l’autobus i creativi sono sempre ripetitivi la fantasia mi manca è una nostalgia si prova casomai chi lo sa come andrà successi e insuccessi me ne frego di voi e vado a vedere i cipressi. |