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segue da Elementi

a cura di Riccardo Caccia

Chiudo questo numero con un mio modesto contributo al tema: tre esempi (tratti dal libro “Remano due una barca”, che ho scritto con un amico) del modo in cui la rabbia è entrata nel mio piccolo mondo poetico, sperando che l’accostamento con artisti “veri” non risulti troppo blasfemo.

 

 

Basta!

 

Siamo stufi della politica

del poi, del soccorrere

e poi del rimediare.

Vogliamo vivere tranquilli

in montagna, come al mare,

sul fiume che ingrossa,

come sul lago che uccide

di notte silenzioso,

sotto il monte ruggioso

o sulla collina che frana.

 

Basta con le dighe insicure,

con le fabbriche severe,

gli errori tecnici e i rischi

non previsti, le cataratte

mal fatte, i voli stroncati

da un boato minaccioso,

le case di cartapesta,

le fughe di gas che esplode,

di iodio che uccide

alle spalle. Vogliamo

bere acqua pulita,

sicura come quella

di chi siede in poltrona

e distribuisce incidenti con cura.

 

(Riccardo Caccia)

 

 

Lo squalo

 

Fate largo che arrivo

sono io lo squalo

mille nomi ma una sola fama

terrore dei mari

Tutti mi temono e a ragione

perché io posseggo la forza e l’odio

io dispenso grazie e più spesso morte

Veloce come l’onda

mi abbatto su ciò che attira

 i miei occhi sempre all’erta

Carcasse o animali spacciati

il mio mare è il più pulito

Io sono ciò che l’acqua trattenne

quando l’uomo strisciò carponi

sulla sabbia per dominare la terra

la rabbia cieca e la violenza

Per questo egli mi teme

perché sa che sono lui

passato scomodo rimorso e paura

Lui solo volle conoscere

l’oro e il coltello

lasciandomi padrone

di un regno sempre uguale

Ma la mia vendetta trova sfogo

quando osa violare la mia casa

e nell’epilessia della lotta

solo il rubino mi placa

che si scioglie nell’azzurro

 

(Riccardo Caccia)

 

 

Il tempo di un tramonto

 

Abbandonato sulla spiaggia

come dopo piena di fiume

un oggetto fuori luogo,

scopro la sottile differenza

del rumore del mare

stando supino sui sassi

con gli occhi dritti al cielo.

Quante parole giocate tra mente e cuore

avrebbero dovuto cambiare il mondo.

E l’hanno fatto.

Ma sempre diverso dalle intenzioni.

E mi affatico,

cercando di riempire questa mia solitudine,

a trovarne una ragione che non sia

la cattiveria umana,

forse più adatta all’istinto di sopravvivenza.

Così, impotente, mi lascio

vincere dal bello,

una nuvola il tramonto e il mare,

per annullarmi

e non morire

di rabbia.

 

(Riccardo Caccia)

 RC.


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