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segue da Vertigine


Tracce scelte da

Sensi Charme

(porpore n°6) di Simonetta Della Scala.

Ripetiamo come ricordo dalla polpa viva e parimenti pulsante, alcuni luoghi in sembianza di istanti, ove l’ago intensamente acuminato di una bussola rotta si continua a fermare oltre ogni tempo pensabile.

 

IL DISTACCO

So che mi mancherai come terra inferocita, sabbioso, croci di tortura nel cancro friabile che mi getti indosso fuggendo. Ma non sei altro da me. Ed io non conosco misura per lasciarti. Torsione in assenza di requie

 

In itinere

 

Le sadiche vergini addentano le tue mani protese.

Scavi sulla lacca per fermare il dolore.

Di lux vergare ogni vergine al tuo vizzo.

Oltre te aghi, ossessione soltanto, oltre me: muoviti danse, e sei tu.

Mi hai lasciato la morte su asini asciutti.

Parlo senza distinta, viatico, origine.

Sento nettàre da quei vascelli che risuonano al ventre.

Sei tu con un basco bianco a non esistere,

sei tu che mi cerchi frastornato senza realtà.

consumarti di materia

scuotere la dama gitana

che mi insabbia di nostalgia.

Hai voluto lasciarmi, non ho potuto lasciarti.

E sangue il turbine a monadi estese.

Hai voluto che fossi una membrana.

sensi, tuoi sensi.

E quando di alloro saprà la tua bocca,

quando trarrai di uncino dalle labbra in me,

mi vestirò di torcia

per cessare, un attimo, solo un attimo,  di carezzarti.

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Coma

Dose cortice

in lucie.

Ballavi di una danza violenta.

In sarco luminàl

destro.

Sognai che mi lacerassi convesso, i capelli annodati.

Logos viri

ai digitali.

E palpavi, coriandolo ogni muscolo fermo.

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Attoniti dalle ombre, maschere alla calce di sinapsi e volevano che i rombi torturassero ancora lo sfarinare sulla polpa in asse di midollo..

Formazione, ologrammi sessuati in assedio, l’ontologia onirica in gestosi con l’essente. erano i soli essenti.

Formazione, assetto, trincea che “aspare”.

Bianchi tartari corvino sui dadi in formule all’inconscio.

Annodano le trecce di Sulspicia.

Hai vinto la mia libagione, ti sono rena fra le mascelle.

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Novembre

Tornavo da teatro.

Novembre.

Sola priva di paura nella notte criminale.

Ma col terrore di me stessa.

Vorace di aggressione, io per prima senza maschera.

Alcool, mitigarsi.

chi sono io per chi?

Guardami! Chiunque tu sia, guardami!!

Perché volete uccidermi?

Perché non io regina, sposa, sorella, vestale, domina?

Vorrei che tu mi credessi, non so chi sarai, se sarai...

Lavare le cicatrici. Lo senti questo liquido fantasma sul voltaggio?

E perché no, confondiamoci tra le musiche; assenti verso il resto.

Consacrami di croci, verginità, assedio.

Porta sangue dai catini. Rendi paglia sulle reni.

Avvolgi la fuga che imprimerò al solo distinguerti.

Vuoi che ti afferri di bende fra i capelli...

Vorrei perdermi senza dove... mani di sconosciuti sul derma spoglio di sesso.

E Voi, Voi, Chi vedete  sulle luci del palco ora?

Siete dentro, siete nel mio corpo, confusi dalle fibre, SNC; tutti voi.

Tornavo da teatro.

Novembre.

Persisti oltre te stessa, lo so vuoi lasciarli soli, ma no. Non ancora. Ancora no.

Fiori, viaggi, taste, caos?

Brandisci amplesso, placenta, sensi, materia.

Fretta. Inerzia. Rigida? Elastica.

Tenditi di scatto e resta fermo.

Vigila sul confine, non lasciarmi andare!.............. non fermarmi.

Sii la vita che non so.

Che non ho.

Tornavo una sera in novembre da un teatro fantasma, forse... ed al centro banco di spettri.

 

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ALTRA VOCE: La terra è abbandono, è vento di esseri che continuano a cercarsi.

E’ metafisica senza incontro, violenza.

La terra è lei che lo aspetta senza potersi esimere da se stessa ed è anche lui che l’ha lasciata discosto e può vivere, vivere ancora.

SDS.


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